18 Ottobre
Dopo sei settimane sto per dire addio alla
Turchia. Non ci posso credere.
Un mese ad Istanbul e 2 settimane ad
Ankara, ed adesso che ho il visto per l'Iran, quasi quasi mi dispiace partire.
Cominciavo ad abituarmi, a stare bene, mi sentivo come a casa.
Anche Ankara - che tutti dicono essere una
citta' anonima e noiosa - e' stata una bella esperienza e le persone sono mille
volte meglio che a Istanbul. Perlomeno non ti trattano come l'ennesimo turista
da spennare, anche perche' qui di turisti ne ho visti solo uno: quella ciociara
conquantaseienne pazza che si e' girata 140 paesi e 24 territori speciali.
Okan, Tolga, Can, Oyul....tutti bravi
ragazzi simpatici che lavorano al Zid Muzik Shop accanto allo Oyes Pizza,
davanti alla Grande Moschea. Okan e' grosso e tondo, dalla faccia simpatica e
dai modi gentilissimi, una pastina d'uomo. Tolga e' alto e grosso, dalla faccia
scura un po' inquietante ma cortese e bonaccione come Okan, sempre ad offire
te' e roba da mangiare, sempre un po' timido e premuroso. Mi ha promesso di
aiutarmi con la ragazza dell Oyes Pizza, li accanto. Sia Okan che Tolga sono
religiosissimi eppure la cosa ne' si nota ne' e' un problema per la
comunicazione. Amo la tolleranza religiosa dell'islamismo in generale e
dell'islamismo turco in particolare. Come in Malesia e in Indonesia l'islamismo
ha una bella attitudine alla tolleranza e alla pacifica convivenza. Scordiamoci
quelle minchiate che si leggono sui giornali sul carattere violento,
guerrafondaio ed intollerante di questa religione: il cristianesimo lo e' molto
di piu' e se in paesi come Iran, Siria, Sudan, Libia ci sono stati (e ci sono)
casini e' perche' sono i loro leader che usano tutti i mezzi a loro
disposizione per mantenere la popolazione in un regime di oppressione e paura.
Ma i motivi sono quasi sempre di natura economica: Gheddafi era il padrone
assoluto della Libia e delle sue risorse naturali; Mubarak era il padre-padrone
di un Egitto che ha da decenni il pallino di diventare la nazione leader del
mondo arabo e della lotta contro Israele se non fosse altro perche' ha il
controllo dello streetto di Suez, uno dei punti chiave delle comunicazioni
mondiali. E l'Iran del bizzarro presidente nonmiricordoilnome ha sempre avuto
questo forte senso di frustrazione di sentirsi una nullita' in confronto alla
Turchia e all'India. Loro che erano - che si cosideravano - la piu' evoluta e
splendida civilta' del passato (i persiani con Ciro il Grande....ma poi quanto
mai saranno durati?) adesso sono schiacciati dalla crescente importanza
economica e politica di una Turchia qualsiasi e dall'India nuova nazione leader
(?) dell'Asia. La colpa e' del veccghio regime dello Scia', debosciato e
corrotto, fatto di donnine senza velo e maschi dediti all'arte e ai vizi
dell'occidente. Allora via la liberta', su i veli, via alcool e vizi, qualche
bella guerra per far vedere che la Rivoluzione del 1979 ha risvegliato il
sopito orgoglio della popolazione (?) e tante nuove belle bombe atomiche per
far vedere che il paese e' LA superpotenza del medioriente, alla faccia di
Egitto e Turchia. La religione e' usata da quei 2 pazzi barbuti di Khamenei e
nonmiricordoilnome per mantenere in schiavitu' una popolazione di cui penso non
freghi niente ne' di bombe atomiche ne' di ruoli leader nello scacchiere
mondiale.
Eppure non e' colpa della religione: in
Cina il pensiero maoista e la tradizione confuciana opprimono ancora la societa'
in senso dispotico e illiberale. In Mongolia la figura di quel pazzo
psicopatico assassino di Gengis Khan e' venerata tutt'ora nelle scuole e
professori, politici, filosofi e gente comune si augurano un suo ritorno per
avere la rivincita su Russia e Cina; in America lo spauracchio del terrorismo
islamico e' la nuova arma di controllo psicologico delle masse....in Grecia si
sventola la bandiera della lotta all'immigrazione clandestina come soluzione
per affrontare la crisi economica (il partito ultranazista della Golden Dawn ha
raggiunto il 24% dei voti alle elezioni politiche nazionali: in nessun altro
paese del mondo un partito di estrema destra, radicale e dichiaratamente
nazista ha simili percentuali). Insomma...non esiste un paese dove per una scusa
o per l'altra si usa l'economia, la lotta all'immigrazione, la religione, il
retaggio storico e culturale per il verso giusto. Sono sempre tutti mezzi per
far propaganda ed influenzare il pubblico, soprattutto le fasce piu' povere e
represse della popolazione, quelle che non hanno molto cervello per pensare da
sole.
Eppure mi manchera' la bella tolleranza
religiosa che si respira in Turchia. Mi manchera' quell'islamismo semplice
fatto di rispetto per le altre religioni e verso chi e' ateo. Se fossimo in
Italia la gente si divertirebbe a bestemmiare e ridere sulla religione. Qui
basta dire "mi dispiace non sono religioso" o "sono musulmano e
non cattolico" e finisce li: senza bestemmie, senza odi, senza bisogno di
psicanalizzare chi crede o non crede come schiavo o liberato dalle catene
psicologiche di condizionamenti mentali imposti....se nn sei religioso non ha
senso bestemmiare. Anche Oyul, l'altro ragazzo dalla faccia simpaticissima e un
po' nerd del Zid Muzik e' ateo eppure considera Tolga e Okan, religiosissimi,
come suoi fratelli.
"Io li rispetto e loro rispettano me,
e la nostra fratellanza va al di la delle differenze religiose" e' la sua
risposta. Bella e semplice, assolutamente perfetta nel liquidare tutte quelle
stupide baggianate che sento dire dai
miei amici e conoscenti su facebook. La gente in Italia prende per il culo chi
crede o offende qualcuno dandogli di Papaboy pensando che dare di credente al
giorno d'oggi sia una offesa tra le piu' brutte....ecco, vorrei che questa
gente venisse qui a vedere cosa e' il rispetto per la religione e la reciproca
tolleranza tra credenti e non credenti. C'e' un modo di fare semplice ed onesto
nelle persone, anche tra quelli con le facce piu' da criminali e meno
raccomandabili che ha qualcosa di esemplare. Nessuno dice parolacce o
volgarita', nessuno fa il ganzo scrivendo bestemmie o offese gratuite tanto per
suscitare risate...c'e' una mentalita' molto educata, molto basata sul rispetto, si.
Ed adesso che dopo 6 settimane lascio la
Turchia, quasi quasi mi viene voglia di riperdere il visto per l'Iran un'altra
volta, perche' sto veramente cominciando ad affezionarmi a questo posto.
Un caro saluto ai miei nuovi amici Okan,
Tolga, Can e Oyul, al chitarrista dei Rektal Tuse/Cenotaph/Deimation, che era
tranquillo e simpatico, con un bell'approccio underground pur suonando nei gruppi piu famosi del paese
(non per niente i Rektal use li ha fatti uscire Marco della Human Discount, per
dire quanto onesto sia il suo approccio underground alla musica), al batterista
dei Sakatat di cui non so il nome e al simpatico padrone della Oyes pizza e la
sua carinissima figliola. Ma anche a tutti gli altri bravi ragazzi che ho
conosciuto solo per un attimo o di sfuggita, ai due curdi della caverna del
tesoro di Ali' Baba' al bazar di cose usate, ai poliziotti educati e
acculturati che ti aiutano sempre, ai ragazzi dell'internet point che offrivano
sempre cay e calorosi abbracci e a tutta la gente brava e buona che ho
conosciuto ed apprezzato in Turchia, il paese piu' bello ed umano che abbia mai
attraversato. Grazie a tutti. Un giorno forse ci rivedremo. Inshallah.
Notte tra il 18 e il 19 ottobre
Joao aveva ragione. La Turchia e' un
immenso paese fatto di niente. Campagne brulle piene di grossi sassi bianchi,
colline sabbiose e nient'altro. Non si vede un villaggio, non si vede una casa.
Poi all'improvviso una citta' che compare e scompare subito dopo. E poi ancora
decine e decine e decine di kilometri di niente ancora.
E' mattina, il sole sta spuntando. Mi
trovo nel centro della Turchia. Riesco a dormire appoggiato allo zaino e penso
di invecchiare. Di solito non mi riesce. O sono veramente stanco o sto
cominciando a provare nessuna emozione nel viaggiare. Ricordo il primo viaggio
in Cina dove per quasi due giorni non avevo chiuso occhio per la smania di
vedere tutto quello che passava dal finestrino, anche di notte nel buio piu'
profondo. Adesso dormo come tutti, dormo e lascio scorrere il paesaggio come se
lo conoscessi a memoria, come se fossi soltanto uno dei tanti pendolari che
ogni giorno si fanno questa strada. Sono tra Kaiseri e Sivas, viaggiamo con
circa 2 ore di ritardo. Sembra normale. Il treno e' pulito, la gente e'
silenziosa, nessuno fuma. Il sole e' spuntato e la nebbia si stende languida
sui campi desolati.
19 Ottobre
Ecco Erzurum, cuore del Kurdistan. Ci
siamo arrivati con sole tre ore e mezza di ritardo attraverso un paesaggio
brullo e spettrale, fatto di polvere, sassi, canyon e fiumi che si diramano in
mille diversi canali. Sembra di essere nel Tibet: il solito maestoso silenzio,
vento, monti che sembrano vicinissimi, a volte viene voglia di scendere dal
treno e incamminarsi verso qualche cima. Non un albero, non una pianta, solo
bassa erba giallognola e malaticcia dove pascolano capre e cavalli liberi. Non
una casa o una capanna per miglia e miglia ovunque si posi lo sguardo. Solo il
silenzio. Poi, improvvisamente miserabili capanne di fango e mattoni in strade
sterrate, bambini sporchi che giocano tra cumuli di spazzatura e poi di nuovo
il niente fatto di niente. Si, sembra il Tibet, anche dal punto di vista umano.
Solo i paesi piu' grossi, Sivas, Divrigi, Erzincan stonano con questo ambiente:
paesi moderni, pulitissimi, sembrano tutti fatti col lego, con casine colorate
e palazzoni made in China. Moderni, pulitissimi ma made in China come tutti gli
edifici costruiti negli ultimi 20 anni in Turchia. Le stazioni sono piccoline
ma carine, ordinate, pulite. I giardini curati e senza cartacce. La Turchia
dopo Ankara ha questa doppia faccia: pulitissima nelle citta', arretrata e
asiatica nei villaggi. Nel Kurdistan sono ricchi a causa dei traffici della
droga proveniente dall'Afghanistan: ci sta che le citta' moderne siano
costruite coi soldi dei trafficanti. Ma fuori da esse l'Asia comincia ad
affacciarsi in tutta la sua miseria e i suoi drammi.
Montagne arrotondate, lisce e durissime si
alternano a cumuli di sassi e sabbia che sembrano ammassati dalla mano di
qualche gigante...e poi canyon e valli profonde e poi di nuovo ancora spianate
desertiche desolate. Ci si sente piccoli piccoli e il mondo sembra sempre piu'
lontano.
Erzurum compare all'improvviso dietro dei monti: siamo quasi ai confini della Turchia.
Erzurum compare all'improvviso dietro dei monti: siamo quasi ai confini della Turchia.
Ci arrivo che ormai e' sera, fa freddo,
molto freddo, siamo a oltre 2000 metri d'altezza e ho solo 5 magliette una
sopra l'altra. Cammino, seguo la strada principale, bella, moderna, quasi
inquietante in questo remoto angolo di mondo. Niente, nessun albergo. Cerco
quelli che avevo segnato: ne trovo uno ma e' caro. Ne trovo un'altro dietro la
piazza principale, affiancata da una grossa parete di roccia sopra la quale ci
sono molti locali all'aperto carinissimi. C'e' Ogul, studente simpatico che
abita li. Cominciamo a chiacchierare e poi andiamo a mangiare una zuppa di riso
e salsa piccante. E' un bravo ragazzo, bonaccione e in gamba, studia ingegneria
dell'ambiente e parla un buon inglese. Purtroppo nel suo albergo non posso
neanche dormire sul divano: da queste parti i proprietari sono tutti teste di
cazzo.
Verso le una di notte torno al primo
albergo che ho visto: o li o morire di freddo per strada. Alla fine non e' poi
cosi' male. Domattina si parte per la frontiera con l'Iran
20 Ottobre
Erzurum non e' brutta ma la stazione degli
autobus e' squallida e popolata da gente ignorante e spietata. I gestori delle
piccole compagnie di autotrasporti sono tutti mezzi mafiosi, dalle facce
cattive e dai metodi antipatici. Rispondono male soprattutto alle donne, fanno
orecchie da mercanti quando c'e' da restituire i soldi - che non restituiscono
mai - e sembrano sempre dei traffichini di loschi affari. Il peggiore di loro
si chiama Kara (Nero) ed e' un ragazzo bello tutto vestito di nero dal volto e
dai modi cattivi.
L'autobus e' microscopico e dopo circa 200 km, giunti ad Agri ci scarichera' sulla strada chiedendo all'autista di un altro autobus piu' grosso di caricarci e proseguire il viaggio fino a Dogubayazit.
L'autobus e' microscopico e dopo circa 200 km, giunti ad Agri ci scarichera' sulla strada chiedendo all'autista di un altro autobus piu' grosso di caricarci e proseguire il viaggio fino a Dogubayazit.
Il paesaggio diventa ancor piu' brullo e
vuoto, le poche case che si trovano lungo strada ancor piu' miserabili e
fangose. Bambini a dorso di cavalli e vecchi fermi lungo i campi a guardar
passare le macchine. Ma anche rari prati verdi dove ragazzini corrono liberi
assieme ai cavalli e alle pecore, famigliole riunite a far colazione e piccole
corti dai muri di fango che racchiudono povere, semplicissime fattorie. Alla
fine penso che non sia male questa vita. C'e' l'aria serena, spazi aperti
immensi, rarissimi alberi racchiusi in piccole oasi dove giocare e appendere i
panni. Si, sembra sempre piu' essere in Tibet.
Purtroppo questa parte della Turchia e' anche
tempestata di postazioni militari. Ce ne sono tantissime e sono tutte brutte e
piene di trincee. Carri armati, bunker, militari in assetto da guerra che
maneggiano mitra e tengono il mirino puntato sulle macchine di passaggio. Ne
guardo qualcuno: mi sembrano tutti stupidi burattini pronti a far fuoco al
minimo ordine. Agiscono tutti meccanicamente, hanno delle facce da far paura.
C'e' il PKK da queste parti, il partito separatista curdo che e' accusato di
terrorismo e stragi. Non lo so ma la tensione e' evidentissima.
Dogubayazit sembra Erenhot al confine tra Cina e Mongolia: un paese miserabile pieno di polvere e vento. Bambini miserabili pieni di moccolo che cola dal naso e facce abbrutite da pellagra o scabbia che chiedono la carita'. Case da te con tavolini fuori e brutti edifici in cemento senza intonaco che sembrano tristi copie di miserabili villaggi cinesi. C'e' anche una piccola strada commerciale piena di negozi e roba quasi di lusso che stona con tutto il resto del paese. Ho visto anche due turisti tedeschi o americani ma come sempre si sono fatti gli affari loro. Io ho camminato e mi son perduto tra il dedalo di vicoli e corti ai lati di questa sedicente via commerciale, tra sguardi furtivi di ragazze col velo e sorrisi di venditori di kebab. Mi son divertito, ho mangiato un tavuk doner immenso e all'internet point qualcuno parlava anche un goccio d'inglese. C'e' anche qualche microscopico spaccio che vende la birra: l'ultima che trovero' prima di arrivare in India o in Cina.
Dogubayazit e' simpatica nella sua miseria, piena di una umanita' perennemente indaffarata su carri, motocarri, motorini, piena di sfaccendati e bambini mendicanti.
Un piccolo autobus ci portera' fino al confine, a Bazargan. C'e' anche un simpatico ragazzo iraniano dalla faccia per bene: dice che mi aveva visto all'ambasciata il giorno che mi avevano dato il visto, mentre ballavo dalla felicita'. E' un ingegnere fotovoltaico. Con lui abbiamo fatto i circa 50 km fino al confine, fermandoci varie volte lungo strada a caricare misteriosi scatoloni nascosti dietro rovine di palazzi o dietro massi tutti uguali, scaricando vecchini nel bel mezzo del niente della steppa turca e facendo salire misteriose figure provenienti da chissa' dove.
Poi, a tardo pomeriggio, ecco li il confine, tra montagne maligne e minacciose, fredde e ostili. Sulla destra la cima sempre innevata, sempre nebbiosa del Monte Ararat. Come l'altra volta.
Dogubayazit sembra Erenhot al confine tra Cina e Mongolia: un paese miserabile pieno di polvere e vento. Bambini miserabili pieni di moccolo che cola dal naso e facce abbrutite da pellagra o scabbia che chiedono la carita'. Case da te con tavolini fuori e brutti edifici in cemento senza intonaco che sembrano tristi copie di miserabili villaggi cinesi. C'e' anche una piccola strada commerciale piena di negozi e roba quasi di lusso che stona con tutto il resto del paese. Ho visto anche due turisti tedeschi o americani ma come sempre si sono fatti gli affari loro. Io ho camminato e mi son perduto tra il dedalo di vicoli e corti ai lati di questa sedicente via commerciale, tra sguardi furtivi di ragazze col velo e sorrisi di venditori di kebab. Mi son divertito, ho mangiato un tavuk doner immenso e all'internet point qualcuno parlava anche un goccio d'inglese. C'e' anche qualche microscopico spaccio che vende la birra: l'ultima che trovero' prima di arrivare in India o in Cina.
Dogubayazit e' simpatica nella sua miseria, piena di una umanita' perennemente indaffarata su carri, motocarri, motorini, piena di sfaccendati e bambini mendicanti.
Un piccolo autobus ci portera' fino al confine, a Bazargan. C'e' anche un simpatico ragazzo iraniano dalla faccia per bene: dice che mi aveva visto all'ambasciata il giorno che mi avevano dato il visto, mentre ballavo dalla felicita'. E' un ingegnere fotovoltaico. Con lui abbiamo fatto i circa 50 km fino al confine, fermandoci varie volte lungo strada a caricare misteriosi scatoloni nascosti dietro rovine di palazzi o dietro massi tutti uguali, scaricando vecchini nel bel mezzo del niente della steppa turca e facendo salire misteriose figure provenienti da chissa' dove.
Poi, a tardo pomeriggio, ecco li il confine, tra montagne maligne e minacciose, fredde e ostili. Sulla destra la cima sempre innevata, sempre nebbiosa del Monte Ararat. Come l'altra volta.
E come l'altra volta, sorpassata la sbarra
tra i due paesi, due gigantografie di Komehini e Khamenei eccole li che ci
guardano coi loro sguardi severi ma benigni e le lunghe barbe di chi e' legge,
religione e capo assoluto di questi poveracci di iraniani.
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