lunedì 22 ottobre 2012

PAGINE SPARSE - Parte 2. Due mesi fa, di notte


Una spuntata ai capelli e una ancor piu' veloce alla barba. Vestiti buttati alla rinfusa nello zaino. L'ultima notte a Prato e' passata cosi'.

Una maglia a maniche lunghe, una a mezze maniche e alcune t-shirt scelte tra le piu' belline - o tra le meno peggio, il che e' uguale - 2 paia di pantaloni affollati di tasche ed uno normale per le serate importanti. Rasoio, macchina per i capelli, medicine in tubetti sporchissimi che neanche mi ricordo per cosa sono: una sembra una scatola di aspirine russe, due libri che non finiro' mai di leggere ed il solito Topolino che mi ritrovo sempre a comprare all'ultima edicola a disposizione, sempre la solita serie, questa volta ho preso il numero 21. Il primo che presi era il numero 3.

C'e' qualcosa di rituale in questi gesti ripetuti. E' il rituale della banalita'. O la banalita' dei soliti gesti prima di ogni viaggio. Sono punti di vista entrambi validi. 

Ma c'e' anche sempre qualcosa che si dimentica. Ce ne ricordiamo sempre troppo tardi.

E c'e' anche sempre qualcosa che si vuole dimenticare. Ci ritorna in mente quando ormai siamo gia' lontani. Penso alla mia mamma che non ho voluto salutare. Vorrei tornare indietro soltanto per questo. Penso al mio babbo: poche istruzioni, la promessa di trovare un lavoro, un bacino che saranno anni che volevo darglielo e l'ho fatto solo all'ultimo momento. Nient'altro. Chissa' se tornero', chissa' quando. 

Il cielo e' grigio, non fa freddo ma c'e' una atmosfera strana. E' tutto irreale. Tra pochi giorni, a Istanbul, forse comincero' a realizzare meglio il senso di questo viaggio. Per ora non provo niente.

 Ancona-Patrasso e poi ancora Patrasso-Atene, di corsa fino alla grigia e brutta Salonicco e sosta fino a lunedi dal mio amico Makis a Xanthi prima della prima vera tappa, Istanbul, welcome to Asia. Sara' il caso, forse il destino, ma anche lui si trova proprio li a Xanthi in questi giorni a trovare degli amici. E per caso o per destino mi ritrovo per la terza volta in due anni ad essere suo ospite. Forse e' solo la banalita' dei soliti gesti, la ritualita' che sta dietro ogni viaggio. O forse, semplicemente, il mondo sta cominciando a diventare sempre piu' piccolo. Questa volta gli ho portato un regalo, due dvd horror italiani, "Apocalypse domani" e "Suspiria".
Xanthi e' una piccola cittadina nel bel mezzo della Tracia, a meta' strada tra Salonicco e il confine turco. Mi piace la sua vivacita' fatta di vita notturna tra pub e discoteche, piccoli bar e taverne semplici coi tavoli e le sedie in legno bianchi e blu, dove tutto e' al contempo moderno e tradizionale, tra giovani universitari metallari e vecchi baffuti che giocano a backgammon e bevono ouzo. I suoi vicolini in salita, l'architettura ortodossa ottocentesca un po' povera e la moderna trasgressivita' delle piccole realta' periferiche. Siamo gia' con un piede in Asia, tra giovani in motorino senza casco e semafori bellamente ignorati, notti infinite tra un locale e un altro e semplici casette vecchie accanto a grigi palazzoni in cemento pieni di negozietti al pian terreno.
Tutto attorno monti silenziosi, alti e scuri carichi di solitudine e storia millenaria.


E gia' mi immagino Istanbul di sera, seduto sulla veranda della locanda con vista su Haga Sofia e la Moschea Blu, bicchiere di Efes e pensieri in solitaria, la piccola Bidiraya a vendere fiori al molo di Kadikoy, i suoi occhi. Tutto mi sembra gia' cosi' familiare. Forse lo e', basta soltanto allargare le vedute, gli spazi. E' come se andassi a trovare degli amici, bere una birra con loro e passare qualche giorno da solo a scrivere e farmi un po' di affari mia. Solo che gli amici non sono in centro ma sparsi tra Grecia, Turchia, Nepal, Cina e chissa' dove altro. La birra non e' da Ozne ma di fronte a Minar Mehmet Aga e Sultanhamet. Di solitudine e affari miei ne avro' a bizzeffe sulla lunga strada che dalla Turchia mi portera' in Iran e poi Pakistan e ancora Xinjiang, Cina, Tibet, Nepal, India, Indocina, forse Siberia, Mongolia. Non so neanche io precisamente dove. Ne' come. Ne' quando. Ora, adesso. E' appena cominciato e non ho voglia di farmi nessuna domanda. Penso a quella bella donna nepalese che, nuda, si lavava sotto la cascata al bordo della strada, i suoi capelli neri lunghissimi e il suo corpo sinuoso. Di qua monti assassini di cui non si vedeva la cima, di la l'abisso col fiume impetuoso. Nel mezzo il nostro piccolo autobus che arrancava verso Kathmandu. Vorrei rivederla lavarsi sotto la cascata. E questa volta fermarmi da lei

Filippo mi ha detto che ormai ho 37 anni - vabbe' significa che ce li ha anche lui - e dovrei pensare a trovare un lavoro, pensare a babbo e mamma, pensare al futuro. Ci sono tante cose a cui pensare. Ne ho tutto il tempo e tutte le intenzioni. L'ho promesso a babbo.

Ieri il Sanzio mi ha detto che il turista sa quando parte e quando torna, dove va e dove sta. Il viaggiatore sa quando parte ma non sa nient'altro. A febbraio dovrebbe essere in Thailandia. Forse ci vediamo.

Il Sanzio, Lorenzo, il Germano, Marco della Human Discount, Valeriano e il Baldadeath...ogni giorno saranno sempre piu' lontani. Vorrei che fossero tutti qui, adesso, a bere una birra tutti insieme sul ponte della Minoan Lines, in questa calda notte in mezzo al mare. Vorrei condividere sempre con loro il viaggio, le attese, le sorprese, le paure, le birre a Xanthi e sulla veranda di fronte alla Moschea Blu. L'amicizia e' tanto piu' dolorosa quanto piu' e' la distanza che ci separera', ma non posso fare a meno di viaggiare, questa e' la mia vita, ma vorrei tanto che fossero qui. Anche solo per un Negroni tutti insieme.

Tra 20 ore arrivero' a Patrasso, e in un altro giorno di viaggio via treno dopo soste ad Atene e Salonicco saro' a Xanthi dove rivedro' Makis. Poi sentiro' quel capitano turco a Kadikoy se ha un lavoro da offrirmi sulla sua nave. E poi ancora mi girero' e rigirero' nella cuccetta nelle calde notti sul treno indiano e poi mi fermero' a mangiare in quelle belle baracche sulla strada polverosa, assolata, tropicale di Bhairahawa nel Terai e poi ancora a cercare Goran a Bangbuathong e poi e poi e poi...e poi se un giorno imparassi a scrivere mi fermero' sulla spiaggia malese e raccontero' di posti, luoghi, amici e, chissa', forse  anche amori, immerso nel silenzio e nella pace del mio bel bungalow tra la spiaggia e la yungla.


Come sempre questo e' solo un inizio, un nuovo, ennesimo inizio - ancora una volta diretto verso le lande sconfinate dell'Asia. E' tanto grande e immensa, diversa, piena di genti, culture, lingue e religioni diverse. Il Kasimpasa e' secondo in classifica, Filippo e' ritornato a vivere dalle parti di Fuzhou  ed io non ho ancora nessun visto sul passaporto. Sto tornando in Asia.  

 

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Xanthi, Tracia greca quasi turca. Una oasi felice circondata da montagne brulle e campi riarsi dal sole che qui batte forte quasi tutto l'anno.  Il viaggio da Patrasso a qui non finisce mai, a bordo di trenini che vanno piano ed attraversano paesaggi a volte spettrali, a volte incredibili. Lungo la strada ferrata si incontrano carcasse di vecchi vagoni con la mezzaluna turca, i greci li guardano con orgoglio, simbolo di un odio che non si sopira' mai.
Dal porto di Patrasso si compra il biglietto dell'autobus alla piccolissima stazione della citta' - le stazioni greche sono tutte microscopiche, grandi quanto quelle di qualsiasi fermata locale tra Prato e Firenze: anche Atene non scherza! - e per qualche misterioso motivo si arriva dopo circa due ore di viaggio ad uno sperduto sovrappasso dalle parti di Kiros, dove in una lugubre stazione ci aspetta il treno per Atene. Non ho mai capito come mai non ci sia un collegamento diretto da Patrasso invece di sorbirsi tornanti, salite e discese sulla bellissima costa a bordo di un comodo autobus per raggiungere questo sputacchio di fermata del treno sperduta nel nulla.
Fatto sta che da Kiros ad Atene ci vuole circa un'altra ora e mezza ed attenzione a prendere il treno giusto: io mi son ritrovato alle undici la sera nella periferia piu periferia di Atene, dannandomi l'anima e andando a casaccio prima di trovare la stazione centrale della citta'. A farmi compagnia puttane, uomini maleducati che manco ti rispondono e giovanotti stile Gioventu' ribelle.
Per fortuna il treno per Salonicco parte a mezzanotte, quindi ho avuto tempo di farmi il solito kebab al delizioso Estiatorio Psistaria, di faccia alla stazione. Un bel giardinetto con tavolini illuminati, atmosfera rilassante e padrona albanese gentilissima fanno da contraltare a clienti e passanti tutt'altro che rassicuranti ma fino ad ora inoffensivi.
Come la prima volta anche la tratta fino a Salonicco me la son fatta sdraiato sul pavimento, posti a sedere sempre esauriti ed un caldo soffocante. E tante fiche come sempre, perche' le greche sono veramente dei gran bei pezzi di figliole. Detto da uno che c'ha solo la passera orientale in testa e' tutto un dire. Sono 6 ore che non passano mai e qui non e' come in Cina dove tutti ti guardano con curiosita' e vengono a chiacchierare o tempestarti di domande. I greci sono scontrosi, quasi ai limiti dell'ostilita', sicuramente indifferenti ma sempre con sguardi carichi di rancore. Chissa' perche': forse assomiglio ad un turco o ad un georgiano, gente poco amata da queste parti, come tutti gli altri vicini confinanti. 

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