Mimar Mehmet Aga non la si può certo definire una via particolarmente interessante: non ci sono ristoranti di particolare lusso o negozi di pregio in questa strada tutta in discesa, tantomeno monumenti o cose importanti segnati sulle mappe degni di visita, ma è il collegamento tra la centralissima via in salita di Sultanahmet, la via più importante che attraversa questa parte di Istambul e il piazzale oltre il quale si estende tutto il complesso di Aga Sofia. E’ per questo che, pur essendo una via anonima, nè peggio nè meglio di tante altre, è sempre trafficata da turisti di tutte le età e razze. Proprio per questo la via è ricca – ma quale via di Istambul non lo è? – di ristorantini, bettole, tavole calde ma anche di piccoli supermercati, negozi di souvenir, c’è persino una agenzia di viaggi, una libreria e un negozio di strumenti musicali tradizionali. Niente a che vedere con Yerebatan, la lussuosissima via turistica che sta sull’altro lato di Sultanhament, piena di negozi che vendono marche di pregio, vetrine lussuosissime e imponenti, grossi brand internazionali che vanni da Cavalli a Prada, da Starbucks a McDonalds, con banche, uffici, tutto quanto fa modernità, benessere e capitalismo.
Ma a Mimar Mehmet Aga è possibile sedersi in tutta tranquillità ad un tavolino fuori dai numerosi ristorantini che punteggiano i due lati della strada e godersi un pranzo senza dover pagare piu di tanto e sopratutto essere lontani dalla calca e dalle masse dei turisti.
Mehmet è uno di questi ristoratori, si chiama proprio come la strada ed è sempre li sull’uscio della porta a controllare chi passa fuori e chi lavora dentro: un sorriso per i primi, un urlo secco e autoritario per i secondi. Sembra uscito da un film di mafia anni ’30, anzi sembra proprio Don Vito Corleone con 30 anni di meno: doppiopetto nero, camicia bianca, cravatta, piccoli baffetti sottili, capello rileccato tutto all’indietro, solito volto di Robert De Niro. E’ al tavolo del suo ristorante che mi son seduto la mattina del mio secondo giorno a Istambul: una mattina grigia e ventosa, umida, uggiosa.
Come tutti i turchi Mehmet è un imbonitore: ogni volta che passa un cliente ha qualcosa da suggerirgli circa la qualità della sua cucina e dei suoi prezzi, un complimento, un saluto gentile, un apprezzamento al passante. Sussurra, propone, la gente continua a camminare e lui torna li ad aspettare col suo sorriso e le braccia immancabilmente congiunte dietro la schiena. Non ha fretta: prima o poi qualcuno si siederà, forse più attratto dalla semplice bellezza del locale piuttosto che dalle sue lusinghe vane. Eppure fa molto turco il promettere meraviglie e paradisi di gusto ai clienti, magari sussurrando con voce calma, bassa e mielosa accompagnando con qualche rileccato saluto. Proprio come ha fatto a me, indeciso su dove andare a mangiare qualcosa. In realtà anche io sono stato attratto più dalla pubblicità di un piatto di cotolette e patatine piuttosto che dalle sue chiacchiere: anzi, mi ci è voluto poco per capire che a Istambul meno si da retta alla gente che vuol vendere qualcosa e meglio è.
Coi suoi modi educatissimi e estremamente controllati sembra essere uscito da una alta scuola di comportamento, sembra quasi un baronetto del mondo della ristorazione. Ha sempre l’accendino d’argento pronto in mano non appena un cliente vuole fumare e, con gesto elegantissimo e sicuro accende la sigaretta sussurrando l’ennesima gentilezza con la sua voce bassa e melliflua: poi torna li, impettito sull’uscio della sua porta a guardare i clieni che passano.
In mancanza di altri clienti, quel giorno ventoso e umidiccio, Mehmet si è messo a parlare con me, sempre rimanendo li a guardia della sua postazione. Dopo le prime domande di rito ha cominciato a parlare un pò di tedesco e un pò di italiano, frutto di sue precedenti esperienze lavorative in giro per l’Europa. Sembrava un tipo cortese e intelligente, pieno di buone maniere, non come quegli scalmanati del ristorantino poco più in la che urlavano, si agitavano, erano tutti unti, sporchi, vestiti male: tutta un’altra cosa, un’altra classe, apparentemente.
Eppure ci è voluto poco per capire che ogni donna che passava, bella o brutta, giovane o vecchia che fosse stata, si sentiva gli occhi appiccicosi e languidi di Mehmet addosso finchè la stessa non scompariva dal campo visivo, ricevendo ancor più languidi sussurri e complimenti una volta le fosse passata di fronte. “Come sei bella, che bel corpo che hai, il tuo corpo sembra quello di un angelo, Sei libera stasera?”...ce ne aveva per tutte, indifferentemente, sempre con quel sorriso tirato e accattivamente e quella gentilezza impostata che col passare del tempo mi sembrava sempre più falsa e fastidiosa. I complimenti erano tutti ossessivamente rivolti alla bellezza del corpo femminile, alle cosce, al culo, ai capelli, al seno e le domande invariabilmente le stesse: “cosa fai stasera, sei sola, hai il ragazzo?”. Il sorriso di Mehmet e la sua voce bassa e flautata mi parevano ogni momento che passava sempre più sporchi, pervertiti, insopportabili.
“Tu non capisci le donne, ma a loro fa piacere essere trattate così” mi ha detto a un certo punto, evidentemente notando una specie di imbarazzo da parte mia. “Guarda questa che sta arrivando che cosce ha. A letto ti farà stare come in paradiso” e, pochi istanti dopo queste parole verranno ripetute anche a lei: “ciao bella, di dove sei? Americana? Le tue cosce sono un paradiso”...
“Vedi”, spiegava serissimo avvicinandosi ed accendendomi l’ennesima sigaretta. Avevo notato che aveva l’orologio d’oro e vari braccialetti d’oro. “Noi siamo maschi turchi, sappiamo come trattare le donne e loro desiderano questo. Io sono un fedele servitore di Allah: non bevo, non fumo, non uso droghe e Allah mi da una potenza sessuale che tutte le donne desiderano. Io posso anche fare l’amore 10 volte in una sera, ma questi americani ?!? Loro bevono, sono ubriachi, non hanno morale e dignità...che uomini sono? Come fanno a soddisfare le loro donne? Per essere virili dobbiamo mangiare bene, il segreto è questo, e tutte le donne sono tue. E le donne turche, amico mio, non so se le hai mai provate, ma sono fedeli servitrici dell’uomo, faranno tutto quello che vuoi se dimostri loro di essere un vero maschio”.
C’era una profondissima convinzione spirituale e filosofica in quello che diceva, mi aveva preso pure per un braccio come se quella che mi aveva appena detto era una grandissima verità, un segreto profondo da confidare solo a poche persone.
Ma a me sfuggiva una certa logica del tutto: come è possibile autodefinirsi fedeli servitori di Allah e poi parlare solo dell’importanza di una alimentazione corretta per avere devastanti prestazioni sessuali? Mi turbava il fatto che un vero servitore di Allah fosse, sorprendentemente uno sciupafemmine patentato. Piu sei fedele, più obbedisci ai dettami di Allah e più donne il Divino ti porterà per soddisfare la tua fede e la tua virilità. A pensarla così, provavo un profondo disgusto, mi pareva che in tutto questo discorso le donne non avessero nessun ruolo, nessuna possibilità di intervento, che fossero solo una preda, un terreno di conquista per ogni buon virile fedele.
Più in basso, lungo la discesa, la cricca degli altri ristoratori agitati e sudici rivolgeva altri pesanti apprezzamenti ad un gruppo di americane che erano appena passate davanti a noi. Mi pareva che stessero provando il calvario di Gesù Cristo o le Forche Caudine. “Come on, I’m your man, come with me baby to paradise, you have a nice smile, you have a nice ass, come here, I’m your turkish man” e si agitavano e sbracciavano sempre di più, in preda a un irrefrenabile e inestinguibile orgasmo, ridendo sempre più sguaiatamente tra loro.
Cercavo di guardare i turisti, di capire le loro reazioni, di leggerli in volto per capire se era solo una mia paranoia o veramente questa atmosfera pesante la captavano pure loro. Ho notato come i turisti affrettavano tutti il passo o cercavano, con più insistenza, di parlare tra di loro evitando il più possibile di rivolgere la benchè minima attenzione a tutta questa massa di turchi appostata fuori dai propri negozi. Molti erano chiaramente innervositi, scuotevano la testa e commentavano tra di loro. Ho sentito un paio di “bastards” e anche un “cochon”.
Una ragazza, finalmente, ha avuto il coraggio di fermarsi e reagire, era esasperata e ha urlato così forte da farsi sentire lungo tutta la strada: “mi fate schifo, siete solo degli animali, non posso vivere in pace da quando sono arrivata qui, siete dei maiali!”: ma non sembra che i suoi commenti abbiano sortito una grande reazione perchè il gruppetto di scalmanati turchi continuava a ridere, anzi ancor più rumorosamente di prima in preda ad una irrefrenabile euforia ed uno di loro le aveva parato il cammino mettendosi in posa davanti a lei, gonfiando il petto e i bicipiti: “look, don’t you like me? Do you like my friends?” ....
Tra la simpatia e l’odio spesso corre una sottilissima linea e mi sembrava che quei tipi l’avessero già passata da un bel pezzo. Voltandomi e vedendo Mehmet li fermo col suo sorriso falso e il suo occhio che seguiva il culo di ogni ragazza decisi di non fermarmi oltre il dovuto e di fumarmi una sigaretta tornando verso l’Ostello piuttosto che perdere altro tempo li.
“Non hanno classe” mi ha detto Mehmet poco prima che pagassi il conto mentre con eleganza stava prendendo gli ordini da una coppia di anziani spagnoli che si erano seduti accanto a me. “Le donne devono essere trattate come fiori, farle capire che sono belle, farle sentire importanti. Alle donne piace il maschio duro, non un esibizionista come quello là”.
Ascoltanto il suo ultimo pistolotto, ringraziatolo del pranzo (mi ha portato delle cose diverse da quelle che avevo ordinato: forse stava guardando una ragazza passare mentre io gli indicavo il menu per ordinare quello che volevo) mi stavo quindi dirigendo giù verso il mio ostello, passando anche quella massa di scalmanati che non smetteva di agitarsi e commentare a voce alta i particolari anatomici di ogni donna che passava.
Alla fine della discesa, la dove, attraversati i binari del tram al Parco di Sultan Ahmet, c’erano diverse persone, qualche carrettino ambulante, operai, molti turisti che adavano in su e giù.Ad un certo punto un signore turco sulla quarantina è fermato da una coppia di giovani (presumo) americani per alcune informazioni. Il turco nota la ragazza e comincia subito a parlarle, a rispondere solo a lei nonostante che le domande le facesse il ragazzo, comincia a sorridere e a sistemarsi la giacca finchè ad un certo punto non la prende sottobraccio e le mostra la veduta della piazza con un ampio gesto. Le comincia a parlare e a dirle chissà cosa, mentre il ragazzo, ignorato era li indeciso sul da farsi, cercava di interrompere lo sproloquio e di chiedere informazioni: tutto inutile. Ormai l’uomo aveva sottobraccio la ragazza e lei sembrava visibilmente imbarazzata dalla situazione. Lui intanto continuava a parlarle e, le poche domande che il giovanotto riusciva a formulare erano motivo in più per annaffiare di parole la povera ragazza. Finalmente infastidito al punto giusto il ragazzino prende con forza la sua amica e si allontanano di gran passo, scuotendo la testa infastiditi. L’uomo era ancora li, col suo bel sorriso ammaliante che si stava sbracciando per salutare la ragazza, ormai sempre più lontana, la salutava con ampi gesti, col braccio alzato e sventolante. Poi, con un bel sospiro si gonfia il petto, si da una sistemata ai capelli coi palmi delle mani e tira fuori un sorriso di piena soddisfazione, da un colpetto a un venditore ambulante come per dire: “hai visto che donna, eh?” e si allontana finalmente via col passo di chi ha appena vinto al Super Enalotto.
Sono tornato all’ostello pieno di strani pensieri...da quando ero montato sul treno da Xanthi a Istambul avevo solo chiacchierato con turchi che parlavano solo di Allah, odio per i greci e sopratutto sesso, donne, segreti per scopare meglio, tecniche di conquista. Roshan era uno di questi: si vantava di essere un fedelissimo servitore di Allah perchè amava solo sua moglie e non aveva bisogno di pensare alle altre donne e allo stesso tempo importunava tutte le ragazzine greche che passavano in su e in giù nella carrozza finchè, per sua stessa ammissione, non è andato in bagno “a fare una cosa”. Non ho sentito parlare di altro e questo osceno mix tra sacro e misogino mi stava veramente dando un fastidio enorme.
“Mike” era sempre lì, all’ostello dove lavorava vicino al Topkapi, riconoscibilissimo per il suo cestone di capelli alla Jackson 5 perfettamente rotondo, probabilmente curato con la stessa precisione certosina del giardiniere che cura l’erba di Buckingham Palace, i bei tatuaggini tribali di moda nei posti più giusti e visibili, ai polsi, sul collo, sulle caviglie, una montagna di braccialettini e collanine sparsi per tutto il corpo per fare freak quanto basta, un moderno woodstockiano però molto più elegante e aggiornato al 2010, con Ipod e lettore Mp3 che vanno, al passo coi tempi e profumatissimo. Mi hanno detto che tutte le ragazze sbavano per lui e i bigliettini, i messaggi, le cartoline e i ricordi sul portone di entrata sembrano confermarlo: “Mike non ti dimenticherò mai, Mike sarai sempre nel mio cuore, Mike ti amo” e via cazzeggiando....
Era li, come al solito, come l’ho sempre visto da quando sono arrivato, che stava parlando sottovoce con tono flautato e l’immancabile sorrisino accondiscendente seduto al tavolo assieme a un gruppetto di americane appena arrivate. L’ho sempre visto così, parlare solo con le ragazze, le piu carine ovviamente, nei 3 giorni che ho passato in tutto in quel posto. Mattina, sera, notte, sempre li a parlare solo con ragazze. Ai maschi solo alcuni cenni di saluto col capo, freddi e formali.
“Giusto caso, ho la musica che fa per te” diceva a una tipa mentre si passavano le cuffiettine dell’mp3, “ho proprio il gruppo che fa per te, ti piacerà di sicuro, dopo vieni su da me che te li faccio sentire, dai ti aspetto” e il suo sorrisino dolce da ragazzino carino e perbenino mi sembrava ancora più falso, costruito, programmato a sopportare e recepite tutte le cazzate che ogni ragazzina logorroica e nostalgica gli raccontava in queste sere di romantiche lune turche.
Li ho capito veramente che per fare i cascamorti bisogna veramente avere una gran pazienza e una gran faccia tosta: sorridere sempre, fare finta di interessarsi a tutte le sciocchezze che una sciocca ragazzina dice, manifestare stupore e emozione ad ogni cazzata che si ascolta, farle capire che sta dicendo cose interessantissime e irrinunciabili. Ci vuole pazienza e autocontrollo infiniti per sopportare tutto ciò. Bisogna essere dei gran paraculi e lui questa paraculaggine ce l’aveva bella stampata in faccia. “Ho il libro giusto per te, ho la musica giusta per te”...glie l’ho sentito dire a diverse ragazze, la solita tecnica, le solite frasi, i soliti trucchi. Spero che non lo abbia detto anche a quella bella giapponesina che mi era venuta a parlare. Lui le si è seduto accanto, le ha portato un bicchiere di te e le ha detto qualcosina sottovoce, una battutina, un complimento, chi lo sa e si sono messi a ridere.
Quella mattina – ma così sarebbe stato anche la mattina dopo – lui era già li seduto al tavolo della colazione, tutto attorniato dalle ragazze: gentilissimo, passava il pane a tutte e versava loro il te, le faceva ridere e divertire. Con me e Riccardo Valsecchi, il fotografo italiano che abita in Germania, ma anche con gli altri maschi non sembrava avere tutta questa confidenza e non sembrava essere così affabile: per prendere il tè c’è la macchinetta dietro il muro, là c’è lo zucchero e se si vuole il pane dobbiamo chiedere al cuoco in cuina.
Magdalena, la simpaticissima ecuadoregna che lavora li da 6 mesi a nero lo odia, anzi lo disprezza proprio dal più profondo del cuore. L’ha sempre maltrattata e umiliata, la tratta con cattiveria e qualche volta l’ha anche presa a schiaffi e, mentre me lo raccontava il suo volto diventava triste e deluso. Non si arrabbiava ma era delusa dalla cattiveria e dalla falsità che si cela negli animi umani.
Forse era anche un pò gelosa perchè, come diceva, da quando era arrivata lo ha visto portarsi in camera più di 200 ragazze diverse e lei è vecchia, grassa e non particolarmente bella anche se veramente divertente e dal cuore d’oro. Forse è per quello che la tratta male, forse perchè è solo una serva e neanche attraente. “E’ solo un maiale, falso e violento come tutti i turchi. Sembra tanto bravo e in realtà è solo un animale. Mi fa schifo”.
Per tirarle su il morale, quella sera, abbiamo deciso di festeggiare tutti insieme, io lei e Riccardo con il salame e la grappa che mi ero portato dalla Grecia: siamo stati benissimo, abbiamo riso e scherzato alla faccia di tutti questi pseudo-maschi turchi e di quelle povere ragazzine americane in cerca di romantiche (mezze)lune turche. Usciti fuori per fumarci una sigaretta tutti insieme, Mike era ancora li, rigido e impostato come un baccalà, con gli occhi languidi e quel sorriso lascivo ad ascoltare le ennesime stronzate di una turistina in vena di scrittura: “oh, ah, wow!” ed il triste rituale si ripeteva un’altra volta. Chissà se in camera le ha fatto ascoltare la musica più adatta o le ha fatto leggere il libro che più faceva per lei.
Istambul prova a tutti i costi di darsi una patina di efficiente città europea: non so se ci riesca perchè ci sono stato così poco ma, camminando per Yerebatan sembra di essere a Vienna o Praga, senza particolari differenze. Almeno così sembra: ci sono i McDonalds e gli Starbucks, ci sono le banche e gli uffici internazionali, vetrine lussuosissime di Prada e Cavalli che sembrano li più per bellezza che per servire veramente i clienti, caffè e bar di alto pregio su tutti e due i lati della strada. Proseguendo per Sultanahmet il panorama è più turco, più tradizionale, coi negozietti piccoli e un pò precari, con le macchine scassate che sembrano fatte tutte in stile anni ’60, coi venditori di falso che sbucano ad ogni angolo e rappresentano una vera minaccia agli impegni del turista. Una città vivace, dai mille volti, trafficata, inquinata e dalle grosse potenzialità. Ma non è ancora Europa, no.
Sono andato a cerare un Western Union per ritirare i soldi che mi avrebbero permesso di arrivare fino a Teheran. Cercare un ufficio è come un ago in un pagliaio: si trova soltanto in poche e selezionate banche e non si può certo dire che le banche turche, pur belle, eleganti e dotate di moderni computer, belle pubblicità, arredi asettici e armoniosi, brillino per efficenza. Tutt’altro.
Le banche, ovviamente, sono tutte a Yerebatan, difficile trovarne altre fuori dalla grande strada piena di vetrine luccicanti, assolutamente impossibile trovarne una da altre parti che faccia servizio Western Union. E’ il solito specchietto per le allodole: nella strada bellissima, elegante, iperturistica si trova tutto e di più, si trova tutto quel lusso che nelle nostre città non troveremo neanche tra 1000 anni. La gente si emoziona, rimane colpita da tutto quel benessere e rimane ancor più stupita di trovarlo in un posto che in teoria dovrebbe essere il culo dell’Europa. Pensa che il paese sia incamminato su una strada di splendore e ricchezza, che il benessere sia ormai diffuso e la città rappresenti una nuova capitale del benessere consumista. In realtà, fuori dai punti strategici, quelli ovviamente destinati al turismo, non c’è niente, non c’è assolutamente niente di tutto ciò: nè uno Starbucks, nè un McDonald, nè un Gucci nè un Western Union. E’ lo stesso che succede, per esempio, in Cina: ti fanno vedere Shangai e Pechino, o meglio certi quartieri selezionati di Shangai e Pechino: fateci caso, armatevi di mappa delle città: sono sempre i soliti. Bellissime, modernissime, futuristiche addirittura, queste città: te le fanno vedere da diecimila angolazioni diverse per farle sembrare ancor più grandi e imponenti, facendo credere che tutta la Cina ormai sia così. In realtà fuori da quelle 2-3 città la miseria e l’arretratezza da terzo mondo, da paese sottosviluppato, povero e ignorante continuano a esistere per il 99% della popolazione. Basta gettare un pò d fumo negli occhi ai turisti – ma anche alla gente ignorante del paese – per far credere loro che tutto funziona e tutto è agli standard che ogni moderna società consumistica sull stile occidentale deve avere. Spesso maledico il fatto di essere un occidentale per il mio fatto di essere un modello, un punto di riferimento da parte di popoli che sono disposti a fare sacrifici enormi pur di apparire, pur di illudersi di vivere una vita “all’occidentale” come la mia. Mi sento colpevole, colpevole di dare il cattivo esempio.
Nella prima banca ci ho passato quasi due ore: sono entrato, una guardia bassa e tarchiata che pensava di essere il direttore mi ha dato i documenti che mi servivano, ha ordinato a un cassiere di darmi una penna, mi ha controllato personalmente il portafogli (per trovarmi, che gentile, la mia carta di identità senza che io facessi la fatica di trovarmela da sola), mi ha detto cosa devo fare e mi ha detto dove sedere. Non contento si è messo a curiosare tra tutti i miei fogli che avevo nel giubbotto e nel portafogli, casomai avessi avuto bisogno di qualche altro servizio da parte sua. Si comportava da gentile ma anche da duro allo stesso tempo. Cortese, affabile ma sempre con lo sguardo duro di chi ti tiene costantemente sott’occhio, che nota tutto quello che hai addosso, che prende la tua roba senza neanche chiedere permesso per esaminarla e guardarti in faccia per capire che tipo sei, che pensa di essere il direttore della banca dando ordini e disposizioni soltanto perchè ha una pistola legata al fianco.
Questa gente, di solito, così dura, ha anche una natura insolitamente gentile e servile con i ricconi e la gente potente. Entravano in continuazione tipi loschi e nervosi, guardia del corpo immancabilmente appresso e borsoni pieni di soldi. Erano talmente pieni di soldi, questa gente, che se li dovevano anche staccare dal corpo: legati alle caviglie, ai fianchi, tutto attorno alla pancia, sotto le ascelle, tiravano fuori mazzi e mazzi di euro, dollari, sterline da tutto il corpo. Sembravano i terroristi di Al Qaeda pronti a farsi saltare in aria pieni di esplosivo tutto legato attorno al corpo: solo che invece di tritolo, questi erano imbottiti di soldi ed erano invariabilmente nervosi e sudaticci.
La guardia, appena entrava uno di loro, si prodigava in salamelecchi e inchini, li scortava direttamente agli sportelli e, spostando con modi duri e scortesi i clienti che già si stavano facendo servire, intimava al commesso di dare la precedenza a queste importantissime personalità, che a me sembravano più mafiosi traffichini, corrieri del riciclaggio di denaro che stimati uomini d’affari.
Era una cosa incredibile: mai visto così tanto zelo da parte delle guardie!
Intanto la mia pratica era ancora li: una volta che la guardia aveva controllato ben bene se io avessi riempito tutto, il foglio era stato passato a una commessa: una fotocopia e buttato li ad aspettare mentre lei era tornata tranquillamente a svolgere gli affari sua.
Intanto la mia pratica era ancora li: una volta che la guardia aveva controllato ben bene se io avessi riempito tutto, il foglio era stato passato a una commessa: una fotocopia e buttato li ad aspettare mentre lei era tornata tranquillamente a svolgere gli affari sua.
Erano passate ormai 2 ore e nessuno sembrava interessarsi a me: la commessa non rispondeva alle mie domande e un’altra li accanto, fredda come un ghiacciolo e completamente inespressiva, mi diceva di aspettare.
La guardia era sempre li, fissa sulla porta a gambe divaricate, mani serrate alla cintura e pistola bella in vita.
Adesso era il turno di una bella donna, alta e altera e il nostro eroe armato si prodiga in un inchino ancora più profondo. Le si avvicina, la prende sottobraccio e le chiede cosa deve fare. La signora deve ritirare dei soldi allo sportello automatico: niente di più semplice! La guardia si prende carico del problema, e, tenendola sempre sottobraccio, le spiega che bottoni deve pigiare, facendo alcuni gesti comici per farle vedere quali non deve pigiare. Ridendo e facendo il simpaticone le dava anche alcune pacchette sulla spalla. Una volta finita l’operazione si è premurato di chiederle se serviva altro: nient’altro, arrivederci. Uscita dalla banca, il nostro zelante Rambo in divisa blu, ormai soddisfatto e armato di un bellissimo sorriso si avvicina a un cliente, un omone grosso e commentano insieme le forme della donna. Anche un deficente, pur non parlando turco, avrebbe capito che stavano parlando del culo.
Finalmente, passata un’altra oretta vengo a sapere che il terminale non funziona e quindi sarei dovuto andare in un’altra banca. Ci sono volute tre ore per avvertirmi, quando solitamente in qualsiasi ufficio Western Union di Prato ci vogliono 2 minuti per fare tutto.
Vado all’unica altra banca in zona che disponeva di tale servizio: ovviamente anch’essa in Yerebatan, a pochi passi.
Anche qui – come in tutti i negozi della via – una guardia armata di mitraglietta, alta e dal viso duro e antipatico. Non mi guarda bene ma io lascio stare.
Nelle due ore che ho passato in questa nuova banca, sempre la solita storia: la guardia ti dice cosa devi fare, prende il portafoglio e comincia a svuotarlo di tutto con fare indifferente, controlla i tuoi documenti, poi finalmente prende il tuo modulo debitamente compilato e lo butta li, dimenticato da tutto o da tutti finchè i commessi non hanno nient’altro di meglio da fare.
In queste due ore ho visto la guardia che si metteva in strada a gambe divaricate con la pistola in mano ogni volta che passava una donna. Sembrava Rambo e assumeva le posizioni più strane, sempre con la pistola in mano: se la trastullava, a volte faceva esercizi di estrazione o roteazione, a volte persino la accarezzava e la leccava come se fosse un membro maschile, si sistemava il basco in testa, assumeva un tono duro, si gonfiava il petto...cercava in tutti i modi di farsi vedere dalle donne e di risultare maschio e potente: si metteva proprio sull’uscio della porta ad aspettare che passasse qualcuna per piombare a quel punto in strada e dare spettacolo un’altra volta...la guardia armata di mitraglietta nel negozio di fronte cercava di imitarlo, e anche lui si metteva in strada a fare il buffone. Chissà da quanto tempo quei due cretini sono in competizione così per accaparrarsi l’attenzione di una donna: se un giorno gli dovesse partire un colpo da quelle pistole maledette, il morto ci scappa di sicuro. Ma sono solo inutili dettagli quando la posta in gioco è farsi belli agli occhi di una donna.
Salamelecchi, battutine cordiali e immediata presa di confidenza anche qui ogni volta che una cliente entrava. Finalmente, dopo sole 2 ore sono riuscito a ottenere i miei soldi e me ne sono andato via.
Ho fatto due passi e ancora prima uscivo fuori per fumarmi una sigaretta, per vedere un pò di gente, questa gente. Donne tradizionali con il burka camminavano ridendo timidamente e abbassando il capo. Donne moderne, giovani, emancipate camminavano a testa alta, sprezzanti e superbe, con lo sguardo fisso nel vuoto, all’inseguimento di un obiettivo invisibile per noi comuni mortali. La tipa all’agenzia di viaggio dove avevo preso il biglietto per Teheran parlava un inglese correttissimo ma non mi ha lasciato una impressione più calda del ghiaccio. Distaccata e impersonale come distaccate e impersonali erano le moderne ed efficienti commesse delle 2 inefficienti banche dove sono andato. Cosa è questo paese? Cosa sta succedendo a questa società?
Sembra che tutti vogliano giocare ad essere moderni ed europei in un paese dove ancora i servizi base funzionano male e in modo clientelare, dove dietro la facciata di consumismo, opulenza e lusso ci sono ancora militari armati pronti a sventare l’ennesimo attentato, traffichini ricoperti di denaro che sudano e temono per la loro vita, ma sopratutto un’aurea ancora così pesantemente marcata di maschilismo, di arretratezza sociale, di misoginia che neanche in Iran avrei visto, anzi.
Sembra che tutti vogliano giocare ad essere moderni ed europei in un paese dove ancora i servizi base funzionano male e in modo clientelare, dove dietro la facciata di consumismo, opulenza e lusso ci sono ancora militari armati pronti a sventare l’ennesimo attentato, traffichini ricoperti di denaro che sudano e temono per la loro vita, ma sopratutto un’aurea ancora così pesantemente marcata di maschilismo, di arretratezza sociale, di misoginia che neanche in Iran avrei visto, anzi.
Dei 3 giorni che ho passato in Turchia mi è rimasta solo questa immagine ostile di maschi perennemente arrapati e opprimenti, ossessivi, col solo pensiero della fregna in testa, dove tutti i discorsi girano e ruotano solo attorno all’arte di scopare, dove anche la fede viene mescolata col mestruo, dove si gioca impunemente a fare i Rambo mitraglietta alla mano per farsi belli e machi agli occhi delle ragazze. Ma in che mondo siamo? Sembra ancora di essere nel medioevo dove il maschio deve essere virile, potente, sessualmente dominante e narcisista. Dove le donne non sono altro che corpi, carne che cammina, oggetti che vanno conquistati con la vanità e l’esibizionismo.
In qualunque caso, in qualunque situazione, mi sono sembrate tutte vittime di una società profondamente maschilista che, come tali hanno dovuto imparare ed affinare col tempo l’arte del dover sopravvivere: non guardando in faccia nessuno, cercando di farsi gli affari propri. Vittime di una società ancora troppo maschilista, fallocratica, arretrata.
Ho visto donne tradizionali camminare a testa bassa, che giravano lo sguardo impaurite non appena qualcuno – per sbaglio o per scelta – le guardava negli occhi. Ho visto donne più moderne, senza burka camminare sprezzanti, veloci e altezzose senza guardare in faccia nessuno, perse in sguardi allucinati e determinatissimi. Ho visto donne fredde come il ghiaccio ed efficienti, semplici macchinette professionali in luoghi dove di professionale non c’era neanche il metal detector all’entrata, le donne che dovrebbero rappresentare il nuovo volto efficiente e professionale dell’Europa che deve entrare in Turchia.
Ma non ho visto neanche una donna la sera, dopo cena, camminare da sola per le strade della città.
“Hanno paura dei maschi” mi diceva Riccardo mentre, seduti a un ristorantino all’aperto, ci sorseggiavamo un tè accanto a una massa di ubriachi che si stavano azzuffando tra loro. “O se ne devono stare in casa ad aspettare il loro uomo”.
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