La strada che corre da Delhi ad Agra è lunga e diritta. Appena lasciata l'immensa megalopoli, calda, umida, appiccicosa, sporca e contraddittoria come più di tante altre megalopoli asiatiche, la strada corre lungo una striscia continua di verde, polvere e merda. File di baobab e vegetazione tropicale cominciano ad affollare il panorama, alternandosi a campi riarsi dal sole martellante e bassa vegetazione dove vivono a migliaia scimmie, elefanti, cani, qualche vacca sacra ma non tante e soprattutto tanta, tantissima gente, che affolla ogni angolo del paesaggio. Gente perlopiù che si trascina stanca e indolente nelle loro lunghe tonache bianche, morbide, quasi flaccide, con passo lento e assolutamente non ansioso: si trascinano fino ad una baracca per sorseggiare una coca cola e starsene li seduti a non fare niente e rimirare il traffico della strada, caotica, tra polvere, sabbia, smog, puzzo di marcio, spazzatura, caldo asfissiante, merde di animali e scimmie che saltellano, venditori di tutto che vivono letteralmente sulla strada, tra macchina e macchina che passa.
Questo è il ricordo dell'India che ho, in una caldissima (e quando mai il contrario?) mattina di novembre mentre cercavo di raggiungere il Nepal. Ero arrivato la notte prima - quando ? - proveniente da Teheran (dove sono stato ospite dalla mamma di un ragazzo conosciuto sull'autobus da Istanbul) a Delhi: una New Delhi fin da subito caldissima ed appiccicosa, inquietante nel suo caldo puzzolente e immobile, in una notte da film postatomico, dove i soldati spuntavano dapperttutto sui tetti dei palazzi di fronte all'aeroporto, trincee sulla strada, fucili e mitra puntati ovunque pronti per scatenare un inferno di fuoco. E un inferno di fuoco - a fight, come aveva detto un passate - ci sarebbe stato proprio un paio di giorni dopo alla stazione di Agra.
L'India ti accoglie subito così, con una sfrontata ostilità, dove niente e nessuno ti dicono benvenuto ma dove sei subito sbattuto faccia a faccia contro una realtà disperata, dura, ostile, drammatica, tragica. Soldati, caldo opprimente, una notte strana e irreale dove non mi ricordo come sono montato su un autobus verso il centro di Delhi, verso la stazione centrale dove avrei dovuto vedere come attraversare tutto l'Uttar Pradesh, India settentrionale ed andare verso Est, verso il confine meridionale col Nepal.
L'India accoglie con indolenza e distacco, silenzio, spettri che cominciano a spuntare agli angoli delle strade e poi sempre via via sempre più a mucchi man mano che la grande città comincia. Tra scheletri di palazzi o abitazioni dove mancano sempre qualche parete, Delhi si presenta come una città spettrale e disperata. Cumuli di esseri umani ammucchiati uno sull'altro dormono - o semplicemente sopravvivono - sotto le logge dei palazzi, in quei palazzi dove ai primi piani pareti sventrate rivelano stanze bruttissime prive assolutamente di tutto, dove l'unico arredamento veramente presente sono solo corpi di gente ammassata. Gente che non capisci se dorme o semplicemente non ha le forse per fare altro, gente buttata li senza un perchè che si lascia così per rassegnazione, per volere divino, per destino e reincarnazione di questa corrente vita. Ragazzini che giocano nudi - come nudi sono moltissimi, semplicemente perchè i pochi stracci logori che hanno indossato tutta la vita ormai sono andati distrutti, persi col tempo - montagne di immondizia dai quali rotolano divertiti e ti chiedi se magari c'è qualche corpo seppellito sotto quello schifo. E ti accorgi che veramente c'è sempre qualcuno buttato li a dormire...strade lunari, da città fantasma e scenario postatomico dove l'autobus ha dovuto cambiare strada due o tre volte perchè l'esecito aveva posto delle sbarre mobili per deviare il traffico da quelle che - ogni notte, sempre diverse - possono risultare le zone più ad alto rischio per chi vi passa.
Piano piano ci siam ritrovati in pochi passeggeri ed io a fare domande inutili all'autista, incerto o no se meravigliarmi di tutto questo, scandalizzarmi, o semplicemente cercando di far finta di niente.
Mi ha portato fino alla stazione, ormai aveva finito il turno e il viaggio in più l'ho pagato giusto due sigarette e una lungha chiacchierata sul bus, fumando e tenendo le porte aperte per il gran caldo asfissiante. In uno spiazzo dietro la stazione una folla incredibile e sempre in movimento camminava sopra pozze di piscio e merda, tra verdure spappolate dappertutto e resti di qualsiasi cosa, bottigliette, lattine, cartoni, paglia e fango dappertutto. Niente di nuovo ma mi sembrava molto più marcio che da tante altre parti dell'Asia, forse sarà stato per il gran caldo, ma mi sembrava tutto molto più lezzo ed asfissiante. Forse solo a Bozhou, nello Anhui, Cina, c'era un simile marciume ma non c'era quell'afa opprimente che rendeva l'aria così altrettanto irrespirabile e pesante. Eppure tutto ciò affascinava, attirava seppur l'autista mi consigliava di stare in guardia appena sarei uscito. Criminali, assassini, ladri, puttane, barboni, appestati, polizia, guru accattoni, ognuno avrebbe potuto rubarmi il portafogli o subito condotto in situazioni inusuali per noi occidentali. Non avevo gran paura ma ovviamente era un posto nuovo, una mentalità nuova, era la prima volta che vedevo l'India e quindi non sapevo ancora come comportarmi con la gente. Fossi stato in Cina avrei avuto molto meno timore di arrivare in piena notte con un autobus in un posto sconosciuto. Ma dell'India ancora non sapevo niente sebbene mi scorrevano nella mente immagini di miserie incredibili - già viste e per sfortuna già anche confermate in gran parte da quello che avevo osservato lungo strada, dal finestrino dell'autobus, ma pensavo anche alla lebbra, la peste, colera, tifo, malattie infettive, gente che muore ai bordi della strada, barboni mutilati che tendono la mano in continuazione, corpi devastati da piaghe che ti toccano e ti guardano....questa sarebbe stata l'India che avrei visto nei giorni successivi, nel mio lungo viaggio verso Est, un lungo viaggio verso i confini meridionali di Nepal e Buthan, fin quasi a quella strettissima fascia di terra, il Collo di Gallina che prima di buttare nel triangolo dell'Annam, ai confini con la Birmania, separa di pochissimo i grandi regni tibetani dell'Himalaya al caldissimo e iperaffollato Bangladesh, una regione che non osavo neppure pensare quanto fosse povera e disperata se mi dicevano che l'India in confronto era un paradiso.
In una notte in preda a vero senso di shock, quasi ipnotizzato e incapace di farmi una ragione che ero già arrivato fin li, riesco a barattare il mio giacchetto di pelle falso della D&G col biglietto dell'autobus + albergo per Agra + biglietto del treno da Agra a Gorakhpur, con una agenzia loschissima dalla quale in qualche modo un tassista mi aveva portato. A tutt'oggi non so se mi hanno fregato o mi hanno detto la verità ma sembra che per viaggiare sui treni in India devi comprare il biglietto con vari giorni di anticipo, sopratutto per le lunghe distanze (io dovevo attraversare tutto l'Uttar Pradesh da Ovest a Est) ma sopratutto ero capitato proprio durante un periodo di festival importantissimo e milioni di indiani avevano già preso d'assalto e sovraffollato tutti i treni disponibili. La soluzione migliore allora sarebbe stata arrivare fino ad Agra (che io non sapevo neanche cosa fosse) e da prendere un treno qualsiasi per arrivare fino a Gorakhpur, in un viaggio di circa due giorni e mezzo. Forse era tutta una stronzata per spillare soldi a un turista solitario, gli indiani sembrano solo pensare ai soldi e fare affari, perlomeno coloro che non muoiono di fame ai bordi delle strade, e hanno facce spesso così poco raccomandabili che pensi sempre che te lo stiano tirando nel culo. Ma non c'era altra soluzione. Li fuori dall'agenzia, il cui proprietario era un tipo giovane, affabile, cordiale - mi ha offerto te, biscotti, sigarette - c'era un tipo che sembrava capitato li per caso ma in realtà forse era li apposta che, guarda caso, comincia un discorso che va a finire sull'arte e sulla cultura indiana. Aveva roba da vendermi o da piazzarmi, con la solita frase "eh ma se torni in Italia possiamo fare affari insieme, mi aiuti a piazzare questi oggetti, possiamo fare tanti soldi insieme..."
Ragazzi questa è l'Asia, dove tutti son mercanti e tutti son furbi e tutti pensano di aver gioco facile con i turisti sprovveduti. Ci ho fumato delle sigarette e fatto una bella chiacchierata ma son rimasto vago sugli oggetti che voleva vendere, promettendogli che al ritorno in Italia ci avrei pensato. Poi mi son comprato il biglietto per arrivare ad Agra, con cameruccia di albergo compresa e taxi fino a la. Sono circa 200 o 300 km, non lo so...ho pagato col giubbotto di pelle falso della D&G: non avevo soldi e lui aveva messo gl occhi sul mio giubbotto.
"Io devo andare in Nepal ma non ho una lira" dicevo io.
"Ed io devo andare sull'Himalaya e non ho un giubbotto" diceva lui.
Alla fine ho pagato tipo un costo di 30 euro (furto!) con un giubbotto comprato 2 anni prima, nel 2008 a Yanjiao, periferia di Pechino, pagato 12 euro e tutto ormai rotto e pieno di buchi nella fodera. A conti fatti ho attraversato e stazionato per 6 giorni in India con 2 euro in tasca. Per la precisione avevo 1,80 euro, portati dietro da Teheran. A Gorakhpur, pochi km dal confine sud-orientale col Nepal, ci sono arrivato con 10 centesimi in tasca e nient'altro.
"Se stai qui in India potresti fare ottimi affari" mi diceva il tipo tutto sorridente e gentile. Eravamo entrambi soddisfatti e anche se forse lui c'aveva rimesso qualcosa, io mi son procurato il biglietto-probabile trappola per turisti - con uno scambio economicamente vantaggiosissimo anche se poi il giubbottino mi piaceva. C'erano tanti ricordi che mi ci legavano: Yanjiao, Robert l'insegnante pazzo, mio fratello, la strada commerciale....ma tanto pensavo che poi non mi sarebbe servito se andavo a sud, verso Thailandia e Malesia in seguito.
Arrivare ad Agra è una oleografia dell'India più immaginaria, quella forse anche più scontata e tipica alla quale pensiano, quando pensiamo all'India. Salgariana, tropicale, afosa, sporca, affollatissima...un traffico incredibile e totalmente fuori controllo, guidatori che si comportano esattamente all'opposto di qualsiasi guidatore occidentale, barboni e mendicati che dormono sulla striscia rialzata dello spartitraffico, saltimbanchi che spuntano all'improvviso mentre la macchina è ferma per guadagnare qualche spicciolo con la loro scimmietta ammaestrata, venditori con ceste in testa che vendono robaccia che ti tendono con la mano nera e malaticcia, altri che siedono sullo scalino in pietra di case in fango e muratura che spuntano tra uno spiazzo e l'altro del verde. Polvere e fango sempre sollevati che rendono l'aria ancor più appiccicosa e pesante, carretti che vendono Coca Cola e insegne di marche americane vecchissime dappertutto, spesso usate come pareti o sostegni per le case. Strisce di baracche e capanne su spiazzetti di terra sporchi dove bambini e animali giocano tra gente, gente che vende di tutto o non fa semplicemente niente.
Divani e poltroncine basse in velluto riccamente ricamato, sporche e logore invitano a sedersi a bere qualcosa di fresco mentre ci si cuoce sotto il sole rovente. Tavolacci traballanti sotto piccole verande e divani polverosi invitano a fermarsi ad ogni gruppetto di case lungo strada.
Un benzinaio incredibimente moderno e "pulito" in mezzo all'India ancora ancorata ai tempi di Salgari e Gunga Din, del vicerè dell'Impero e dei Rajà bianchi.
Agra ho poi scoperto essere la città - la città, vabbè, un villaggio miserabile e sudicissimo - dove c'è il Taj Mahal, il mausoleo in marmo bianco con le piscine enormi che l'imperatore nonmiricordo chi, Tamerlano forse, aveva costruito in memoria della sua moglie morta. Tanto bello, imponente e meraviglioso quanto sudicia e buttata via è la città e il parco che lo circonda, un immondezzaio a cielo aperto, una discarica dove sguazzano scimmie in branchi, paria inchiodati dalla fame al terreno e famiglie ricche e volgari che buttano via nel piu totale menefreghismo gli scarti del gelato e i cartocci di cibo. Camminare qui, in questo paesaggio ancor più tropicale ed afoso, ancor più trafficato e caotico della Delhi notturna, ancor più polveroso della strada per arrivarci, era veramente difficile a livello emotivo.
Eppure ipnotizzato mi sedevo a fumare sigarette una dopo l'altra e non potevo fare a meno di osservare questo mondo. Magari appoggiato col culo ad un muretto di mattoni sbriciolati o su un ciocco di legno circondato da spazzatura, cercando improbabili agenzie di viaggi, una ricarica per il cellulare e un Western Union per chiedere dei soldi a casa. Fino all'anno scorso non ho mai viaggiato con carta di credito e mi portavo sempre dietro soldi contanti giusti per arrivare da qui a la, poi me ne facevo mandare con trasferimento elettronico altri dall'Italia per farmeli bastare qualche altra settimana.
Fatto sta che il pomeriggio tardi ad Agra mi ero trovato con solo 1,80 euro in tasca e niente altro, avevo lasciato l'Iran senza una lira. Gorakhpur era a circa 1000 km di distanza, il Nepal era sempre più vicino ma comunque dovevo mangiare qualcosa. Con meno di 2 euro avevo molte cose da fare ma pochissime soluzioni possibili, considerando che avrei anche dovuto cercare un internet point per realizzare gran parte delle cose che dovevo fare.
In questi casi la soluzione sarebbe stata quella di sempre: farseli durare il piu a lungo possibile semplicemente cercando di perdere tempo in qualcos'altro. Girando il posto, curiosando, vedendo di ottenere informazioni o internet gratis da questo o da quel negozietto e comprando giusto le cose da mangiare che costassero meno, giusto per arrivare a fine sera e aspettare novità ed organizzare il proseguo del viaggio con le informazioni raccattate durante il giorno. La prima sera passa e il secondo giorno ad Agra è uguale al primo: dormite, camminate in stato ipnotico e sigarette. Adesso mi rimaneva poco meno che 1 euro.
Arriva la seconda sera ed era tempo di muoversi: destinazione Gorakhpur, Uttar Pradesh orientale, 1000 o 1500 km più in la. In India si campa con poco e ci si arrangia, quindi la notte alla stazione del treno mi erano bastate giusto un pacchetto di sigarette, una bottiglietta d'acqua e dei biscotti per cazzeggiare 4-5 ore in attesa del treno. I soldi erano ormai finiti. Contavo di trovare una soluzione una volta a Gorakhpur, che distava due giorni e mezzo di viaggio col treno, dove avrei dovuto pagare di tasca mia l'autobus fino a Kathmandu e il visto per il Nepal al confine.
Stazione della ferrovia di Agra, sera.
Mi ricordo gente che stava male, divorata dalla malaria o qualche altra malattia, a dormire per terra nella sala della stazione; due americane giramondo spallatissime appoggiate ad un parete e un paio di coreane fiche sulla banchina al binario 1, tra sacchi di iuta e balle di cotone, gente in su e in giu, topi, migliaia di topi.
Ho fatto una pisciata lungo la bancina, un pò lontano dalla gente. Quelli che pensavo fossero ciottoli tra i binari erano in realtà topi, centinaia di topi, a branchi...una massa nera che è scappata via da tutte le parti ai primi scrosci di piscio. Non ne ho mai visti così tanti tutti insieme.
Fuori una donna sdraiata di fianco con un sari che le copriva il volto, dormicchiava o guardava nel vuoto su un muretto bianco, tra tanta altra gente. A volte mi guardava ed io la guardavo, così tanto per far qualcosa. Due poliziotti accando chiacchieravano roteando i loro bastoni di bambù, le americane coi loro zaini uscite anche loro per fumare, tanta gente. L'indiana giovane dalla pelle nera e i grandi occhi continuava a guardarmi sempre più con piacere, ora tirando fuori la lingua e passandosi lentamente la mano sulle cosce, con movimenti lentissimi e senza fretta. Di la dalla strada baracche e bancarelle miserabili con tanta folla. Mi alzo e scopro che la bella indiana in realtà era devastata dalla lebbra e gli occhi erano pieni di pus giallo, che colava, caccole al naso e il petto seminascosto dal sari tutto piagato. Neanche il tempo di allonatarmi da quella deludentissima visione, con ribrezzo, che una folla inferocita esce urlando da un negozio che stava appena prendeno fuoco davanti a me. Urla e concitazione, gente che spara col mitra piu e piu colpi all'impazzata, una folla che osserva la scena da neanche dieci metri, un omino che con tutta tranquillità mi dice che è giusto un "fight", come ce ne sono tanti ogni sera. Saranno stati i soliti scontri tra indu e buddisti, ho pensato.
Poi finalmente il treno, una prima notte afosissima con una giovane e polposa compagna di viaggio e sua mamma che ci guardava in cagnesco, un secondo giorno passato tutto a gambe penzoloni di fuori sulla porta aperta della mia carrozza, gente sui tetti e piccole stazioni bellissime ed esotiche. Cessi stile indiano e stile europeo che vanno visti piu che decritti - ed i cessi "western style" come c'è scritto in rosso sulle porte, fanno vomitare solo ad entrarci, figuriamoci quelli "indian style"...il treno che riparte ogni volta e la gente che è ancora li sulla banchina a fumare o chiacchierare con gli amici, altri ancora li alla fontana a lavarsi i denti da 20 minuti che salgono al volo appena il treno comincia ad allontanarsi, gente sui tetti e un panorama che scorevva davanti ai miei occhi unico ed irripetibile, fatto di orrori incredibili, villaggi sommersi letteralmente dal fango e dalle paludi, due muri tra la vegetazione dove vive un babbo nudo ed un bambino che gioca in una pozza di escrementi, giovani ragazze che si lavano nude in paludi di fanghiglia, pasaggi a livello e migliaia di biciclette, scolaretti che attraversano i campi nelle loro uniformi bianche e blu all'inglese e le grosse cartelle sulle spalle, famiglie contandine a lavoro nei campi coi bambini che giocano con le nonne, villaggi dove mi divertivo a contare quante case avevano tutti e 4 i muri: non ce ne erano mai piu di 2 o 3 in ogni posto, ed infine dopo una altra notte passata in una cuccetta asfissiante ma che mi pareva cosi comoda da rimanerci tutta la vita, ecco Gorakhpur, la miserabilissima, sporchissima, caoticissima Gorakhpur, ultima tappa in India prima di un'altra folle corsa in taxi verso il confine nepalese dove avrei passato una incredibile notte nell'ennesima miserabile locanda. Di là il Nepal: il viaggio per andare trovare Filippo era quasi compiuto, non prima di un altra allucinante, indimenticabile odissea in autobus tra il Terai, bellissimo, e i contrafforti dell'Himalaya con le sue strade maledette tra pareti a picco scoscese e strapiombi mortali, 3 rotture del motore e 12 ore di ritardo sulla tabella di marcia. Ma questa è un'altra storia.
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