lunedì 2 gennaio 2012

Il Grande Orso che dorme - Avventure in Transiberiana (pt. 9). Fine del viaggio

Gli ultimi due giorni, dopo che Tania se ne e' andata via, sono stati tristi. Non e' bastata la compagnia di Stefan e i suoi sforzi per farmi riguadagnare la fiducia perduta di Katia a tirarmi fuori da una situazione di torpore in cui mi stavo chiudendo sempre di piu'. Non lo so perche' mi sentivo cosi'...non stavo ne' bene ne' male, mi sembrava soltanto di far parte ormai di questo paesaggio che scorreva silenzioso e impassibile al di la' del finestrino. Chiuso nel mio ufficio, separato dal resto del mondo dalla coperta che penzolava dal mio letto sopra, mi alzavo giusto per fumare una sigaretta e bere te' sempre piu' sporadici.

Stefan mi faceva compagnia e la sua compagnia mi faceva piacere. Mi ha raccontato la sua storia, i drammi di giovani che vivono nelle fogne di San Pietroburgo e Mosca devastati da una droga micidiale, il Krokodil che distrugge la pelle. Di suo fratello che stava per lasciarci le penne una ventina di anni fa e lui che decide di mettersi al servizio del recupero di questi giovani. Una storia non semplice, drammatica condita da immagini video che aveva girato qualche tempo prima per le fogne della citta' alla scoperta di mondi sotterranei fatti di devastazione fisica e mentale, di cadaveri che galleggiano nella melma, di orrori che per fortuna il nostro occidente, forse, ancora non conosce.

Da quando ho dato il via alla "rivoluzione sessuale" sul vagone numero 15 implicitamente ho dato anche il via libera al giovane soldato buriato di frequentare sempre piu' spesso Katia nella sua cabina, nelle ore in cui tutti dormono.

Eppure lei in qualche modo e' ancora attratta da me, non so perche', forse la figura del viaggiatore solitario ha sempre un certo fascino anche se quella del giovane soldato bello e gentile ha anch'essa una certa attrattiva.


Ho scritto una lunga lettera per lei e glie l'ho consegnata: ha voluto che glie la leggessi davanti a lei. Poi, con Stefan la penultima sera e' stata tanto tempo a parlare di me. Stefan mi ha detto che le interesso tantissimo.


In un punto imprecisato tra Krasnoyarsk e Irkutsk sono saliti dei tartari loschissimi, tutti scuri e vestiti di nero e si sono sistemati la in fondo al vagone, dove ero solito mettermi a guardare il panorama dal finestrino. Tipi strani, sempre tra di loro e dalle facce poco raccomandabili.
Per una serie di casi avevo perso l'accendino e mi ritrovavo sempre a chiederlo a loro...me lo davano, io accendevo in fretta la sigaretta e attraversavo la porta velocemente prima che il fumo stagnasse dentro la carrozza. Dopo un po' non c'era neanche piu' bisogno di chiedermelo, me lo davano automaticamente ogni volta che passavo di la. A loro modo erano gentili, forse qualche cosa univa i nostri destini: timidi o diversi da tutti gli altri eravamo comunque quelli che meno avevano a che fare con tutti quei russi bianchi, caucasici che popolavano il vagone.


A Irkutsk sono sceso con Stefan...dapprima da solo, senza giubbotto sono corso fino al chioschetto a comprare un accendino e dell'acqua, attraversando tutti i binari e il piazzale ghiacciato. La gente non credeva ai propri occhi, erano tutti infreddoliti e ricoperti fino alla punta dei capelli ed io senza giubbotto, in maglia a -40. Me la prendevo calma, volevo far vedere a Katia e al giovane soldato che ero piu' forte e tosto di chiunque altro. No, non ho sentito freddo, forse non provo piu' emozioni.

Mi hanno salutato, li sotto il treno....il giovane soldato mi sorrideva, Katia mi chiamava "bravo ragazzo" ed insieme a loro ho tagliato un pezzo di corda trovato li per terra per legare i pantaloni di cui avevo perso il bottone. Risate....per un attimo ho ritrovato il buonumore.

Mancavano ancora una ventina di minuti prima che il treno ripartisse. Ho chiesto a Stefan di accompagnarmi fuori dalla stazione per comprare una cosa. Siamo usciti, lui si e' diretto subito verso una serie di stradine sterrate tutte ghiacciate, dove piccole casine in legno colorato si perdevano in una misteriosa tristezza di insegne, negozietti, locande chiuse e ristorantini. Vista cosi', Irkutsk mi e' sembrata carina. Con lui ho comprato un cellulare russo della Samsung a 8 euro. Mi serviva per mandare i messaggi in cirillico a Tania visto che lei non sa altra lingua.


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Le ultime ore di viaggio sono state difficili: nel mio piccolo ufficio continuavo ad osservare silenzioso il panorama selvaggio di questi posti remoti. Katia passava su e giu piu' indaffarata del solito: c'era da risistemare tutto, mettere tutto a posto, pulire il treno. Il viaggio finiva per tutti a Ulan Ude.

Rabbia, silenzio, rimpianti me la facevano guardare con una sorta di indifferenza mentre ricordi dolorosi ed indimenticabili di Tatiana si mischiavano in questa favola ormai giunta quasi alla fine. Chiuso in me stesso lasciavo soltanto che il treno arrivasse alla sua ultima fermata.


Il piccolo mondo nel quale ho vissuto per 5 indimenticabili giorni si era piano piano modificato: via Tania, via Stefan, via i Tartari e il mio amico silenzioso eravamo rimasti in pochi degli iniziali compagni di avventura. Il soldato, purtroppo, era ancora uno di questi.


Non so, ormai non provo piu' neanche gelosia. E' stupido pensarlo perche', fatti due conti, e' naturale che avesse dovuto finire cosi'. L'ultima ora l'ha dedicata solo a lei, cercava di andare a trovarla nel suo piccolo scompartimento dei capitreno ma Irene, quell'antipatica collega gli negava sempre l'accesso. Lui tornava dai suoi commilitoni con la testa bassa ma ritornava e ci riprovava ancora. Si, era veramente innamorato di lei e quel volto giovane, bello, da ragazzino buriato alto e magro faceva tenerezza. Si, forse alla fine anche io ho sperato che questo viaggio finisse bene per loro due: lui timido, educato, rendera' felice una bella, povera, dura lavoratrice delle ferrovie. Forse e' giusto cosi'. Ha il sapore della bella favola. Ed il principe azzurro questa volta esiste veramente: quando ha capito che era impossibile stare con lei negli ultimi kilometri di viaggio ha allora deciso di presentarsi all'arrivo nel migliore dei modi possibili.
Con cura maniacale ha pulito i suoi stivali e la sua uniforme da soldato. Lunga fino alle caviglie, nera di astrakhan legata stretta ai fianchi da una enorme cintura in cuoio con fibbia d'argento dell'esercito. Fondina della pistola, guanti di ermellino, stivali luccicanti con pellicciotto, un enorme colbacco nero lucente. Era bellissimo. Non c'e' invidia, non c'e' rancore: ho vissuto in diretta la bella favola del principe azzurro e della povera cenerentola. Sono io che ne esco con le ossa rotte ma io non saro' mai un principe azzurro ne chissa' cos'altro, sono solo un semplice vagabondo, un Don Chisciotte che ancora si meraviglia e si stupisce di questo mondo incredibile.



Nel suo piccolo la favola ha avuto tutti i personaggi di una favola ed adesso si e' conclusa.

Katia alla fine e' venuta li da me, con rabbia e mi ha chiesto la mia email, me lo ha detto in inglese, forse ha cercato su internet per vedere come si dice o glie lo ha detto Stefan prima di andare via.
Questo veramente mi fa capire quanto avrebbe desiderato conoscermi ed io l'ho solo delusa.

Quando siamo sfilati tutti davanti a lei mi ha salutato con un dolcissimo "Ciao" in italiano: e' stata la prima parola che gli avevo insegnato quando ci siamo conosciuti, all'inizio di questa avventura...quelli dietro di me, tutti, nessuno escluso, le hanno domandato cosa significasse, tutti erano felici, tutti hanno vissuto e sapevano di questo nostro impossibile amore. I russi sono gran brava gente, tutti nel vagone numero 15 speravano in un happy end anche per me. Non bello come quello del soldato ma alla fine anche io ho trovato Tania.

In 5 giorni quel vagone era diventato il nostro mondo separato dal resto del mondo, un gruppo di gente diversa tra loro ha assistito per 5 giorni alle grandi e piccole miserie della vita: amori, odi, passioni, gelosie, segreti, confessioni, silenzi...e la fine di ogni lungo viaggio e' sempre anche la fine di un piccolo mondo.


Tutto diventa ricordo e si ritorna alla realta'. Che per molti di loro sara' un nuovo viaggio: non per turismo, non per divertimento, non per curiosita' ne' per noia ma semplicemente per vivere, per lavorare, per necessita'. Ed altri piccoli mondi si ricreeranno ancora: e forse altri nuovi principi azzurri e cavalieri erranti saranno tra i passeggeri della carrozza numero 15.


Alla fine il treno sara' ripulito, le coperte riarrotolate e il ghiaccio spaccato via dalle ganasce dei freni per l'ultima volta. Poi l'acqua tornera' di nuovo a bollire e nuove persone prenderanno posto nel ritorno verso Mosca.


Ho ritrovato un altro foglietto scritto poche ore prima di lasciare definitivamente il treno, lo inserisco qui perche' voglio che rimanga anche questo nella memoria.
Dice cosi':



Adesso guardo le acque argentee del Lago Bajkal, illuminato - che bello - da una luna piena come il volto di Katia. Ricordi, sorrisi, saluti, lacrime, mani che salutano ed alcune parole di russo sono stati i veri protagonisti di questo viaggio assieme a tutti i personaggi che hanno animato questo piccolo, bel teatrino: Katia, Tania, Stefan, il giovane soldato buriato, il silenzioso mio primo compagno, Adolf Hitler, l'antipatica collega di Katia, la vecchina che ci aveva offerto una cabina per fare l'amore, i tartari scuri ed inquietanti che non hanno mai detto una parola ma mi hanno salutato tutti e tutti gli altri tovarish di cui non sapro' mai il nome o la razza, che lavoro fanno e di dove sono ma ai quali auguro veramente a tutti una vita felice.
Sono contento di averlo fatto ed adesso, che ormai sono quasi arrivato ad Ulan Ude sento di non aver piu' ne' rimpianti ne' rimorsi e tutto piano piano si stemperera' in un mare di bei ricordi.



Cosi' e' la vita e sono fortunato che la mia scorra cosi',

lontana e diritta come questa bella ferrovia.


Spasiba, grande Orso che dorme.



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Ulan Ude, ultima fermata della mia Transiberiana. Qui finisce il mio diario anche se il viaggio e' cominciato molto prima e finira' tra molto tempo ancora. Non ho parlato delle mie 5 settimane ad Helsinki dal mio caro amico Filippo e di tutti i casini che gli ho sicuramente combinato. E' curioso come certi nomi ricorrano spesso: tra qualche tempo incontrero' un altro Filippo, mio fratello, in Cina. Di Katie ne ho gia' incontrate abbastanza negli ultimi anni. Non ho raccontato della settimana di viaggio per raggiungere la Finlandia in treno partendo da Prato e passando dalla Lapponia.


L'estate e' lunga ad arrivare e con essa il lavoro alla Nazione: il tempo lo dovro' pur passare in qualche modo. Ma il mio diario finisce qui, quello che succedera' oltre il confine saranno affari miei e non so se ne raccontero' qualcosa. In Cina chissa' quale sorpresa mi organizzera' il mio fratello questa volta: magari mi avvelenera' o riuscira' finalmente a farmi arrestare.
Non lo so, la vita e' bella perche' viaggiando non si sa mai cosa puo' succedere. A volte non si sa neanche dove si va. Si va e basta, avanti, avanti, prima o poi troveremo quello che si cerca.

Chiudo qui. Volevo raccontare la Transiberiana da un punto di vista diverso, viaggiando in terza classe perche' come diceva quel simpatico sudicione inglese su alla Kuvataidetinakatemia di Helsinki, cosi' si e' piu' a contatto con la gente vera.

Dovevo trovare un modo per passare il tempo sul treno e ne ho trovati tanti.


Ho chiesto soltanto una condizione prima che il treno ripartisse per il lungo viaggio di ritorno verso Mosca: che nel piccolo ufficio letto numero 45, carrozza numero 15 due piccoli palloncini, uno giallo col sorriso ed uno rosso a forma di cuore possano tornare indietro fino a Krasnoyarsk senza pagare il biglietto.


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Qui a Ulan Ude finisce questa bella favola, in una splendida giornata di sole. Tra poche ore l'autobus mi portera' in Mongolia. E' il 15 dicembre , siamo nella Siberia meridionale. La temperatura e' di -15 gradi, fa caldo e si sta bene. Sono circondato da splendide ragazze buriate.

Mi tolgo il giubbotto, mi accendo una sigaretta e faccio un giro cosi', in maglia ed in piena liberta' raccogliendo tante monetine che trovo sull'asfalto ghiacciato. La gente non crede ai propri occhi. C'e' un grande muro a vetri davanti al quale mi fermo a guardarmi.



A volte penso proprio di essere un ragazzo fortunato.

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