mercoledì 6 giugno 2012

Bediraya

 
Capitan America è stato chiamato dalla polizia di Istambul per risolvere un caso molto difficile: assieme al suo collega El Santo, il famoso lottatore messicano di Catch devono fermare una banda di criminali capeggiata da un Uomo Ragno folle, sadico e allucinato che si diverte a devastare la faccia di povere donne con eliche di motoscafo o strangolarle coi sifoni della doccia. Ma i nostri eroi, un pò appanzati e con vistosi baffoni e basette molto mediterranee riusciranno nell'impresa a suon di colpi di Kung Fu e duelli in stile Far West.
Questa, a grandi linee, è la trama di uno dei più deliranti e impensabili film che la cinematografia turca sfornava a pieno regime negli anni 70. Pochi set più in là altri baldi giovanotti mediorientali affrontavano enormi Godzilla o ridicoli alieni saltellanti fatti di pezza, improvvisati Rambo allenati ad Ankara combattevano sporche guerre contro curdi e Iracheni agli ordini di un qualsiasi Pascià Trautman ottomano mentre svenevoli ragazzotte polpose, avide e spietate dark lady, disinibite signorine sfoggiavano incredibili e vertiginose acconciature, esibivano cosce e seni, fumavano, bevevano e godevano a più non posso in quell'incredibile fermento culturale che era la Turchia negli anni '70.
Cose turche, appunto, una realtà immaginifica e incredibile che poteva essere possibile solo nella Turchia degli anni '70, povera, misteriosa ma sicuramente non arretrata: la Turchia è sempre stata al passo coi tempi, con l'evoluzione dei gusti e degli stili. Ma semplicemente piuttosto che adeguarsi ha sempre saputo riadattare e personalizzare, con un atteggiamento quasi snobistico e di aristocratico isolamento culturale rispetto ai due continenti di cui ne è allo stesso tempo ultimo baluardo e prima propaggine. Sicuramente diversa e conscia di essere l'unico, vero ponte tra Europa e Asia, padrona di poter gestire, assorbire, imitare e rielaborare le culture e l'immagine dei due continenti in un assurdo mix unicamente turco.
Un incrocio di culture e storie come sempre è stata la Turchia e Istambul in particolare, una delle 7 capitali della cultura globale dove da millenni si incrociano racconti e storie di mondi diversi..
Nei film fatti fino a pochi anni fa, i gangster vestono alla francese ma guidano scassatissime macchine mediorientali sugli ancora sterrati sentieri collinari di una Fenehrbace ancora dominata dalla campagna, nelle città la borghesia vive in elegantissimi appartamenti dallo stile americano ma prende ancora a manate in faccia languide femme fatales che soccombono al loro fascino così mascolino, mentre nelle campagne dove dominano cani randagi, contadini che tirano ancora il carretto a mano e vecchie intabarrate nei secolari veli della vergogna, loschi criminali progettano fantascientifici piani per dominare il mondo. Quel cinema popolare, così ingenuo e fantasioso però riusciva a penetrare nelle fasce più semplici e povere della popolazione, facendole ridere o spaventare, emozionandole, commuovendole: era un cinema semplice che però rifletteva, in qualche modo la realtà, tra villaggi fangosi e quartieri di Istambul in piena decadenza, tra mafiosi di porto e scassatissime strade non asfaltate. Partiva dalla realtà, forse povera e non bella a vedersi e lo spettatore si rispecchiava in quelle case di campagna fatte d fango e mattoni o lungo le trafficatissime e polverosissime stade intasate di Istambul, tra gli angoli oscuri sotto il vecchio Galata Bridge o alle prese con capi e padroni arroganti vestiti in giacchetta, fez e baffetto.
Mi immaginavo ancora la Turchia così, magari accompagnata da una dolce nenia orientaleggiante mentre sorseggio un çay in qualche losca taverna sul Bosforo, ammirando gli sguardi penetranti di donne dagli occhi truccatissimi, le uniche parti del corpo alle quali possono dedicare tutte le cure e le attenzioni, e immaginando le bellezze che si celano sotto quei magnifici veli finemente decorati. Immaginavo un traffico ai limiti della resistenza psicofisica tra macchine costruite ancora secondo i canoni di 40 anni fa e polvere dappertutto, immaginavo loschi anfratti dove potevano drogarmi per poi ritrovarmi il giorno dopo a bordo di una nave diretta per chissà dove, immaginavo una Istambul in qualche modo decadente e languida, un pò dimessa e dotata di quel fascino misterioso che secoli di incroci tra oriente e occidente le hanno lasciato come segno. E immaginavo Capitan America o Rambo, baffoni e un pò appanzati che venivano a liberarmi dagli iraniani cattivi.
Istambul è una città multiforme e multiculturale dove la storia si sovrappone alla storia nei piu incredibili accostamenti che solo il tempo riesce a conciliare: la zona di Sultanhamet è quella dominata dalle 5 famose moschee, con Aya Sofia e la Mochea Blu, il complesso del Topkapi e gli altoparlanti che regolarmente 4 volte al giorno da sempre annunciano il momento della preghiera per migliaia di fedeli. Ma questa parte di Istambul è la ancor più vecchia Costantinopoli, la Costantinopoli romana baluardo e difesa degli ultimi valori cristiani e occidentali contro l'avanzata dell'Islam: come ha saputo il tempo rimescolare così radicalmente la fisionomia di questa zona. Si respira il senso profondo e religioso, imponente e severo dell'Islam sapendo che quelle mura, quegli acquedotti furono costruiti da uno degli Imperatori cristiani piu religiosi e ortodossi che la cultura occidentale abbia mai partorito. Ma adesso qui è l'Islam, forse un pò turistico e meno severo, dove i germi del libertinaggio si propagano sempre di più ma la zona di Sultanhament adesso è Islam.
Di qua, oltre il Galata Bridge si respira quell'aria Bohemien e cultural-chic che ha fatto di Istambul quella che un tempo definivano "la Parigi d'Oriente": non è un caso che infatti, proprio qui terminavano i binari dell'Orient Express, la prima vera linea ferroviaria intercontinentale che collegava le due più famose capitali dell'arte e della cultura, mai come qui nella zona di Pera e Taksim così simili per spirito, creatività, lusso altoborghese e plateale sfoggio di esuberanza creativa. E tra una ceramica inneggiante a quadri di Degas o ispirata ai paesaggi naturali francesi, spunta l'ennesima testimonianza di un'altra presenza straniera, di un'altra influenza culturale che qui aveva trovato una buona occasione di commercio e di prosperità: la torre genovese di Galata. Uno dei simboli più famosi della città è in realtà...genovese! A quanto siamo di già? Genovesi, francesi, ottomani, arabi, greci ovviamente, antichi romani, russi, persiani, la lingua tedesca è diffusissima per ovvie ragioni....c'è di tutto e manca sicuramente qualcosa.
e di la, ancora, c'è l'Asia che sembra tutto tranne che Asia: Kadikoy, ormai già oltre il cartello giallo "Welcome to Asia" che spunta di là dal meraviglioso ponte illuminato che di notte cambia colore in continuazione è la parte più Europea che ci possa essere, con i suoi viali moderni e lo shopping sfrenato, i negozi di musica e le librerie, la relativa assenza di "anticaglie" che domina invece i 7 colli posti nel Vecchio Continente. I ruoli e le parti si scambiano e si mescolano ancora una volta, in questo incredibile mosaico culturale e storico in cui a ogni passo sembra di essere ora a Roma, ora a Milano, ora a Parigi, ora a Sarajevo ma quasi mai a Istambul perchè non si riesce più a capire quale sia, a questo punto, la vera essenza di Istambul: o forse è proprio questo suo essere un non-luogo, un punto di incontro di due - e forse più mondi - che fa di Istambul questo incredibile crogiolo di emozioni?

Io mi immaginavo più Asia, più mistero, più nenie, forse anche più povertà...sono rimasto deluso nel sapere che il ponte di Galata dove ogni giorno centinaia di pescatori aspettano con pazienza di tirare su qualche pesce tra i milioni di meduse che infestano l'acqua è vecchio di soli 17 anni: al suo posto prima, esisteva un ponte sorretto da barconi in legno e gli elegantissimi, chic (ma pessimi in quanto a qualità del cibo) ristoranti che ora fungono da romantico luogo per scambiarsi qualche smanceria sotto una languida mezzaluna turca, un tempo non lontano, anzi molto, dannatamente vicino, erano i sordidi ritrovi di gangster, malfattori, personaggi ambigui e misteriosi, erano luoghi umidi, bui, sporchi e puzzolenti di pesce e di fumo di sigarette. Se fosse stato 50 anni fa mi sarei messo in pace, ma sapere che soltanto fino a poco meno di 20 anni fa, fino a tutti gli anni '90 Istambul era una città in piena decadenza, fa rabbia. Fa rabbia sapere che nella commercialissima e sorridente avenue che porta a Taksim un tempo c'erano solo serrande tirate giù e palazzi dalle mura marce che cadevano a pezzi. Forse fino a pochi anni fa si poteva ancora respirare quel sapore di Asia, quel sapore di terra del tutto particolare tra due mondi che assorbiva e rielaborava in un gusto tutto unico le influenze di culture così diverse.
Oggi Istambul con tutte le sue vie ritirate a nuovo, con i ponti rifatti, con le vetrine luccicanti di negozi moderni e un poco presuntuosi, sembra una città come tante, forse non nell'architettura ma sicuramente nell'atmosfera e nella gente.
I giovani sembrano i giovani di qualsiasi città europea: basterebbe chiudere gli occhi e non sapere di essere a Istambul per pensare di essere in una qualsiasi Parigi o Berlino o Londra. In questo, forse, siamo ingannati anche dal fatto che mai come i turchi un popolo può assumere una così incredibilmente variegata gamma di aspetti fisici: biondi con occhi azzurri o verdi, classici volti mediterranei da machi napoletani o siciliani, volti seri e duri di discendenza araba o antichi lineamenti caucasici, sguardi tristi da camionista e volti belli tipici di qualsiasi benestante società occidentale. Il benessere anche qui porta una omologazione molto forte: i volti belli potrebbero essere benissimo volti di middle class americane o perfino svedesi, i volti un pò più tradizionali e dal gusto antico potrebbero essere i volti di qualsiasi immigrato in una capitale europea. Istambul è tutto e non è se stessa: è la sua gente ma è un milione di origini diverse allo stesso tempo. E' un non-luogo dove purtroppo il benessere e il capitalismo stanno distruggendo quanto di particolare questa città possa offrire: i negozi nel corso sono uguali ai negozi di Parigi o Londra, i giovanotti artisti sono identici e parassitari come gli artisti che infestano qualsiasi altra città occidentale: bellocci e vestiti all'ultima moda artistica, con basco e barbetta, allegri con quei sorrisi che dovrebbero mettere buonumore e a me mettono soltanto infinita rabbia, divertiti e poco divertenti. Uguali agli artisti di qualsiasi altro paese europeo tanto che non si capisce, o forse non me ne sono neanche mai curato di chiedermelo, se fossero stati turchi o fannulloni venuti da altre nazioni. Molto meglio quel povero nonno cieco che si faceva reggere il microfono da suo nipote: era una scena tenerissima per una delle voci più eomzionanti e sofferte che io abbia mai sentito.
Le notti sono uguali a una grande città europea qualsiasi: discoteche, piani bar, birre e alcool, calcio sui megaschermi, locali di lusso, ore piccole, notti brave, minigonne, occhiali da sole, edonismo sfoggiato in faccia a tutti, musica techno sempre dannatamente uguale a se stessa a qualsiasi latitudine, boccali che si alzano e urla che si confondono e impastano sempre di più coll'aumentare del ritmo della notte.
Mi chiedo dove sia la Istambul misteriosa, languida, particolare per lo meno che mi immaginavo da ragazzo attraverso i film dell'Uomo Rano assassino o tei terrbili contadini curdi baffoni che inseguivano un Rambo un pò impacciato, mi chiedo come mai anche a viaggiare come un pazzo per i saliscendi della città le macchine non mi abbiano mai urtato e siano invece li tutte belle ordinatine in una fila quasi impeccabile, che procedono a velocità da far venire l'orchite e i guidatori sembrano tutti accorti e premurosi bravi ragazzi che si sono messi in testa l'insana idea di rispettare gli altri utenti della strada. Mi chiedo dove siano le ragazze col velo quando la notte tutti i veli cadono e non solo quelli, dove sia l'Islam se le ragazze puzzano di alcool e fumo e la Efes scorre a fiumi incredibili in ogni elegante piano bar della città.
Istambul si è annacquata, anzi si è imbirrata come una qualsiasi città cultural-capitalista occidentale. Ha raggiunto il suo scopo, di essere al pari, dannatamente al pari e quindi uguale a qualsiasi altra capitale del benessere occidentale. Non ha più bisogno di rielaborare miti e immagini dell'occidente in una salsa piccante e speziata tipicamente turca: i modelli occidentali sono qui ormai di casa e contemporanei alle evoluzioni che subiscono in un qualsiasi altro paese che si chiami Italia o Germania o Francia...le magliette dei calciatori sono belle e lucenti come quelle di una qualsiasi Juventus o un Real Madrid, le macchine sono i modelli piu alla moda e sono tutti luccicanti e non ammaccati come un tempo, i jeans, le camicie, i tagli di capelli sono perfettamente in linea con i trend dettati da un qualsiasi MTV o canale satellitare in lingua inglese. La rincorsa è finita, la rielaborazione di immagini e culture europee ed asiatiche in tipica salsa turca ormai ha perso il suo sapore speziato e piccante: gli preferiamo il gusto neutro di un qualsiasi McDonald's o Burger King di una turisticissima Taksim Square qualsiasi.
Seduta su un muricciolo di pietra una ragazzina in minigonna armeggia col suo nuovo Ipod, accavallando due cosce fasciate da eroticissime calze a rete e ciondolando catenine e collanine qualsiasi come una qualsiasi ragazzetta medio borghese di una qualsiasi società europea.
Perfino la polizia è meno cattiva di quello che speravo: anzi, in realtà sono stati tutti gentilissimi con me anche se un pò meno lo sono stati con alcuni tifosi del Kasim Pasa. Li, allo Stadio (le nuove cattedrali simbolo della cultura occidentale) ho visto, per un attimo, l'Asia: l'Asia cattiva del potere sulla povera gente, l'Asia spietata di chi ha il comando e delle masse che scalciano e premono. Ma è stato un attimo, intenso, forte, bello, ma solo un attimo.
Ma allora, esiste veramente una Istambul che sia ancora pura, incontaminata, che non presenti questo annacquamento culturale che la rende sempre più simile ad un qualsiasi altro non-luogo del capitalismo occidentale? E se esiste, dove va cercata?
Forse nelle vie brutte e sporche dalle parti di Kasim Pasa, tra palazzi macilenti e bambini scarponi che provano a tirare maldestri calci a un pallone, tra simpatici mafiosi che vivono tutto il giorno in casa sporti alla finestra e che mostrano con orgolio una pistola (vera? son convinto di si) a un "amico mafioso" italiano, ragazzette bruttine che giocano con la corda su queste discese fangose e umidicce di labirintici vicoli pieni di puttane e nullafacenti. Vecchietti ringobbiti che portano a spasso un pò di Islam, vecchie matrone che si tirano su il velo e guardano con diffidenza. Ecco, si, forse qualcosa si trova.
O forse laggiù al molo di Kadikoy dove una piccola, bellissima zingarella vende fiori tutto il giorno: per lei non ci sono McDonalds o serate brave ai disco bar piu esclusivi della città, non ci sono neanche lettori Ipod alla moda o narghilè fumati in compagnia di giovani, ricchi artisti europei, non c'è neanche il fascino e la consapevolezza di essere in una città dove si respira cristianesimo e islamismo, siria, armenia, grecia, genova, roma, parigi e berlino, vecchio e nuovo, nuova ricchezza e macchinone di marca. Lei deve urlare tutto il giorno una sola parola, perchè è quello che le potrà permettere di portare a casa il pranzo con la cena, si sposterà soltanto dall'entrata frontale dell'imbarco alla piazza davanti che da sulla strada. "Bediraya, bediraya, bediraya" saranno le uniche cose che dovrà dire tutto il giorno e tutto il giorno dovrà trascinare con se la sua piccola cassa di fiori. E assieme a lei c'è un vecchino che vende i biglietti della lotteria e poi un altro che vende non si sa bene cosa, e poi altri zingari che vendono altri fiori...ed è questo mondo povero, ignorato, inosservato da tutti che ha contribuito al benessere di quei molti giovanotti che sera dopo sera fanno cadere quegli ultimi tabù culturali che forse un tempo rappresentavano il fascino proibito della città: qui ci vedo l'Asia, per fortuna. Quell'Asia povera che ancora si deve arrabattare con seriosissima dignità, con sguardi duri che meritano solo rispetto e un breve cenno con la testa. L'Asia che soffre, lotta e si fa un culo così dalla mattina alla sera incurante dei sorrisi sempre più ebeti di maschi benestanti sempre più effemminati ed eterei. Piove e si continua a vociare sempre la solita parola, fa caldo e si compiono sempre i soliti gesti: si incrocia uno sguardo e non si può sorridere ance se lo si vorrebbe. Qui ho trovato tutta la dignità antica dell'Asia mentre sempre più boccali di birra si alzano la notte e sempre più veli cadono: ma per qualcuno Istambul continua e continuerà ad essere quell'unica parola, quell'unico tragitto, quell'unico gesto che li ha accompagnati e li accompagnerà per tutta la vita. La mia piccola Bediraya è ancora laggiù e sono sicuro che quando tornerò sarà sempre troppo tardi per regalarle una speranza.
L'Uomo Ragno non è più un sadico pazzo assassino e si comporta ormai come un bravo ragazzo della periferia benestante californiana, se vogliamo sapere cosa deve fare Capitan America basta chiedere a New York e pochi minuti dopo si adeguerà con patriottico senso del dovere anche in Turchia: El Santo ormai non se lo ricorda più nessuno.
Eppure era una salsa turca che funzionava, una salsa di cui oggi non se ne trova più il sapore, se non in piccoli angoli nascosti della città, piccolissimi, quasi impercettibili ormai. Dettagli. Come la Turka Cola...provatela a cercarla e non la troverete più da nessuna parte. La Coca Cola ha vinto anche qui.

 

Nessun commento:

Posta un commento